Non c’è niente da fare, non cambiano mai. Avete notate che combinazione? Venerdì le truppe siriane, assistite dai raid russi, sono entrate a Palmira, la città martire dell’Isis, dando vita al prodromo della sua liberazione, poi avvenuta, come metafora della resurrezione, nel giorno di Pasqua. E cos’hanno fatto gli americani? Hanno annunciato di aver ucciso in un raid il numero 2 di Daesh, una notizia bomba destinata a oscurare quello che è un successo del regime di Assad e dell’interventismo del Cremlino. Certo, la notizia in sé sarebbe anche importante, visto che su Abdel al Rahman Mustafa al-Qaduli (noto come Haji Imam o anche come Abu Alaa Afri), il dipartimento di Stato americano aveva messo una taglia di 7 milioni di dollari per chiunque avesse fornito informazioni che avessero portato alla sua cattura.
Il capo del Pentagono, Ash Carter, ovviamente, non ha rivelato se l’operazione sia stata sferrata in Iraq o Siria, così come non ha confermato specifici legami con i fatti di Bruxelles, ma ha tuttavia sottolineato che «non ci sono dubbi sul fatto che i personaggi nel mirino delle operazioni Usa facciano parte di quell’apparato in Siria e Iraq che lavora per reclutare e addestrare per l’Isis». La sua morte, ha aggiunto Carter, «è un colpo per le finanze del Califfato, per la loro capacità di pagare e ingaggiare reclute». Già, perché Abdel al Rahman Mustafa al-Qaduli era anche definito il ministro delle Finanze dell’isis: peccato che in tale posizione avesse proposto al Califfato di eliminare l’uso dei dollari per privilegiare oro e argento.
Comunque sia, ovviamente, tutto merito loro, gli Usa hanno fatto trionfare il bene sul male un’altra volta, già mi vedo un bel tributo hollywoodiano all’impresa. Peccato che questa faccenda vada avanti da un po’, esattamente dal 2014. Perché Abu Alaa Afri o come diavolo vogliamo chiamarlo è alla sua terza morte per mano di un raid Usa in due anni! Gli screenshot a fondo pagina con date in evidenza lo dimostrano chiaramente. Ad esempio, è morto lo scorso aprile in un attacco aereo contro una moschea in Iraq, quando il Wall Street Journal scrisse che «Al-Qaduli faceva parte di una delle numerose persone uccise nel raid che ha colpito una moschea dove si stava tenedo un meeting di leader dell’Isis». Ma è stato ucciso anche nel settembre 2014. E poi l’anno scorso. E il buon Abu Alaa Afri era davvero un pezzo grosso. Nato a Mosul, lui era l’Isis prima che l’Isis esistesse. Braccio destro di Abu Musab al-Zarqawi – il padrino dello Stato islamico – fu incarcerato dagli americani in Iraq nel 2012 ma una volta uscito di prigione si è arruolato nell’Isis, divenendo in una prima fase il referente di Bin Laden in seno al gruppo. Insomma, se fosse davvero morto, l’Isis avrebbe perso due capi nell’arco di tre settimane, dopo la morte anche di al-Shishani, alias “Omar il Ceceno”, il georgiano addestrato dalla Cia poco prima del fallito golpe in Ossezia e poi diventato ministro della Difesa dell’Isis.
Non sarà che attraverso queste operazioni speciali dell’aeronautica Usa, la stessa Cia stia recapitando delle cosiddette burn notice, ovvero avvisi di bruciatura della copertura, ad altrettanti personaggi che con l’avanzare delle forze regolari verso Deir ez-Zor e Raqqa, se catturati, saprebbero troppo e quindi è meglio che non possano parlare? Viene proprio il dubbio, perché gli Stati Uniti non si sono uniti alle espressioni internazionali di giubilo per la riconquista e liberazione di Palmira da parte dell’esercito siriano.
Anzi, il Dipartimento di Stato ha dichiarato, attraverso il suo portavoce, Mark Toner, che «pur appoggiando tutti gli sforzi per combattere lo Stato islamico, il governo Usa non intende dare il benvenuto agli attacchi dell’esercito siriano per riconquistare la città di Palmira». Eh già, Toner ha accusato il governo siriano di realizzare atti di violenza contro il suo stesso popolo e ha dichiarato che «sostituire la barbarie dell’Isis con la tirannia di regime di Al-Assad, non è una buona soluzione». Chissà, vorranno metterci un fantoccio del Fmi come hanno fatto in Ucraina, dopo che l’opzione Daesh è stata polverizzata da Putin.
Anche perché con il passare dei giorni il Re della destabilizzazione è sempre più nudo. Un reportage del quotidiano francese Le Monde, infatti, ha portato a galla parecchi particolari imbarazzanti rispetto alle relazioni pericolose degli Stati Uniti in Siria, compresi testimonianze e documenti in cui si afferma che l’intelligence Usa era consapevole della crescita dell’Isis in Siria e che avrebbe potuto fermarla, ma scelse volontariamente di non farlo. Il quotidiano transalpino evidenzia di fatto l’esistenza di una relazione occulta fra l’intelligence Usa e l’Isis, visto che stando al reportage, elaborato dopo tre settimane di indagini in Turchia, l’opposizione siriana ha confermato che gli Usa avevano ricevuto informazioni dettagliate sui movimenti dell’Isis, ma queste furono del tutto ignorate dagli americani, questo anche dopo l’inizio della campagna ufficiale contro lo Stato islamico nel settembre del 2014.
Gli oppositori siriani hanno testualmente dichiarato: «Dal momento in cui il Daesh disponeva di soltanto una ventina di componenti, fino a quando questi sono diventati 20.000, abbiamo documentato tutto agli statunitensi», ha riferito l’agente. «Quando gli abbiamo chiesto cosa avessero fatto con queste informazioni, ci hanno sempre dato risposte evasive, dicendo che la questione si trovava nelle mani dei responsabili, ecc.», ha aggiunto il capo dell’intelligence dell’Els.
E se Ash Carter e il generale Dunford hanno mostrato il loro miglior sorriso nel rivendicare l’ennesimo raid in cui è morto per l’ennesima volta il numero 2 dell’Isis, sarebbe interessante che fornissero una spiegazione al fatto che i convogli dell’Isis che attraversarono la zona desertiche per raggiungere Palmira e conquistarla, nel maggio del 2015, non furono mai bombardati dalle forze aeree statunitensi, considerando che questo avrebbe potuto impedire la conquista e il saccheggio della città, senza contare il relativo massacro di parte della popolazione civile. Tutti conoscevano l’esistenza di questi convogli e l’obiettivo su cui erano diretti: perché gli Usa non sono intervenuti?
Sono domande scomode, davvero troppo per chi si trova in un vuoto di potere senza precedenti, visto che Barack Obama ormai è un’anatra zoppa e sull’esito delle presidenziali di novembre grava un’ombra inquietante per l’establishment statunitense, quella di Donald Trump.
Il quale, intervistato dal New York Times, ha parlato con questi toni dell’Isis lo scorso weekend: «Penso che l’approccio di combattere Assad e l’Isis contemporaneamente sia folle e idiota. Loro stanno combattendosi l’uno contro l’altro e noi combattiamo entrambi. Io penso che l’Isis sia un problema immensamente più grande di Assad, il quale non è certo un brav’uomo, ma il nostro vero problema non è lui, ma Daesh». E poi, sui presunti alleati: «Molte persone in Paesi che pensiamo nostri alleati stanno dando enormi quantità di denaro all’Isis e questi soldi passano attraverso canali oscuri che avremmo dovuto fermare molto tempo fa, ma non abbiamo fatto nulla al riguardo. Parlo di somme davvero grandi, quindi dobbiamo capire che l’Isis non si finanzia solo con il petrolio, ma anche con le banche attraverso canali molto sofisticati. E quel denaro sta arrivando all’Isis da parte di gente che noi crediamo essere nostri alleati… Boicotterei il petrolio dell’Arabia Saudita e di altri alleati se questi non fornissero truppe o fondi per combattere l’Isis. Se l’Arabia fosse stata senza lo scudo della protezione americana, non penso che sarebbe ancora in giro».
Capito perché l’establishment sta facendo di tutto perché il tycoon newyorchese non ottenga la nomination alla convention repubblicana del prossimo luglio a Cleveland? Il Deep State, ovvero i corpi intermedi del governo, le agenzie federali, l’esercito e i media non vogliono Trump presidente, perché il loro approccio verso il mondo è quello tenuto finora in Siria, in Iraq, in Libia, in Afghanistan e ovunque gli Stati Uniti abbiamo messo piede per esportare democrazia, ovvero per destabilizzare situazioni che non ritenevano prone e favorevoli ai propri interessi economici e geopolitici.
L’esempio classico lo abbiamo avuto sabato scorso, quando il generale dell’aviazione americana e comandante in capo delle forze Nato in Europa, Philip Breedlove, ha sostenuto la necessità di riutilizzare in Europa gli aerei spia U-2 per effettuare operazioni in Russia, stando a quanto riportato dal quotidiano ingleseThe Independent. Breedlove ha infatti dichiarato che «questi aerei sono un mezzo per aggiuntive attività d’intelligence, necessarie per affrontare in modo efficace la crescente minaccia di Mosca», scriveva il giornale britannico. Ottusi? No, schierati dalla parte dei loro interessi. Come sempre.
Ottusa è l’Europa che si lascia abbindolare e sostiene agende altrui, spesso antitetiche con i nostri interessi reali e mette le sanzioni contro Mosca, invece che rafforzare i rapporti bilaterali con l’unico Paese che l’Isis l’ha combattuto veramente e che è partner commerciale strategico, nonché fornitore primario di energia. Ma noi preferiamo il greggio saudita a prezzo di sconto che Ryad fa arrivare nei porti polacchi, perché l’Arabia Saudita sì che è una democrazia, mica la Russia.
(1- continua)