Di tweet in tweet sono trascorsi quasi nove mesi da quando l’allora neo-leader Pd Matteo Renzi rassicurò, con un tweet dall’hashtag #enricostaisereno, l’allora Premier Enrico Letta in merito al fatto che non gli avrebbe messo i bastoni tra le ruote per la sua attività di Primo Ministro, ma che lo avrebbe aiutato e al più pungolato a fin di bene, anche perché quel ruolo lui lo avrebbe ricoperto solo a seguito di legittimazione popolare espressa attraverso il voto.
E siccome un uomo vale quanto la sua parola, pochi giorni dopo Enrico Letta si dimise da premier e l’incarico fu dato, e accettato, proprio dal neo-leader Pd Matteo Renzi, accolto come il nuovo Messia Salvatore dalla quasi totalità dei media, ai quali annunciò e promise miracolistiche riforme a tempo di record: una al mese, senza appello!
Lui, l’uomo della Provvidenza 2.0, figlioccio politico di Verdini e Berlusconi, che del primo ha fatto propria la spregiudicatezza e la capacità di farsi scivolare addosso ogni giravolta e voltafaccia, mentre dall’altro la capacità di chiacchierare per ore senza dire nulla di concreto ma ammiccando e ammaliando il telespettatore con la propria retorica e la propria vacuità, si è calato subito nei panni di re Mida, solo che al posto del tocco d’oro avrebbe utilizzato il “tweet”.
Gli annosi problemi che attanagliano e stanno facendo deperire, anzi, imputridire, questo Paese sono tanti, probabilmente ormai tra loro inestricabili: precarizzazione del lavoro, disoccupazione giovanile, debito pubblico alle stelle, crescita economica stagnante, delinquenza e malaffare imperanti, Pubblica amministrazione inefficace, apparati politici come comitati d’affari, e via discorrendo, ma pensare di far fronte agli stessi con slogan, battutine, risatine, selfie e tweet si sta rivelando inutile oltreché dannoso.
Oltre a non porre né soluzioni, né argini ai problemi sopra citati, la situazione nei mesi di Governo Renzi si è ulteriormente aggravata, come evidenziano le ricerche e gli studi dei più accreditati istituti nazionali (Istat, Cgia di Mestre, Banca d’Italia, Confindustria) e internazionali (Fondo monetario internazionale, Ocse, Bce). Sono proprio degli ultimi giorni i dati Ocse, confermati dal Centro Studi Confindustria, che stimano una contrazione del Pil pari a 0,4%, unico dato negativo tra i Paesi del G7: siamo un Paese in recessione economica.
Ma per tutto quanto detto sopra, trovo due spiegazioni da offrire: una che indirettamente deresponsabilizza Renzi in merito al tracollo in corso, l’altra che invece lo inchioda alla sua inadeguatezza nel ruolo. Ma la contraddizione sarà solo apparente, in realtà saranno due motivazioni tra loro compenetranti, perché la sua continua ricerca del consenso mediatico lavorando solo d’immagine alla fine non lo salva della piena responsabilità.
La prima spiegazione prende spunto dal fatto che ciascuno di noi è perennemente alla ricerca “dell’uomo forte”, di colui che quasi investito di super-poteri può risolvere d’un sol colpo tutti i problemi. Per taluni significa quasi sperare un ritorno a un triste e doloroso ventennio passato, dove uno (e la sua ristretta cerchia di consiglieri) decide e gli altri a eseguire pedissequamente il suo volere sin nelle più remote periferie del Paese, per altri significa semplicemente una sorta di super-uomo politico che unisca onestà, capacità, sensibilità, intelligenza e che tutto correttamente decide, sempre e solo per il bene comune, mai influenzato dagli interessi di qualsivoglia lobby.
Questa è una posizione utopistica, la quale non tiene debitamente in conto che, a torto o a ragione, l’architettura dei poteri del nostro ordinamento politico, essendo una Repubblica parlamentare, mal si concilia con la presenza di un uomo forte; al centro c’è, o almeno dovrebbe esserci, l’attività legislativa del Parlamento, mentre il Presidente del Consiglio dei Ministri è solo un mero coordinatore dell’attività del Consiglio dei Ministri, non un uomo forte. È un ordinamento che valorizza e propugna dialogo, confronto, magari anche lo scontro parlamentare tra le forze politiche, ma non le forzature di governo e la figura uomini forti.
Negli ultimi due decenni la classe politica sta cercando continuamente di rovesciare questo sistema a favore di una soluzione centrata sull’uomo solo al comando, ma, attenzione, non è lo schema che conta, bensì come lo si interpreta! I paesi a Democrazia presidenziale sono perlopiù stabili, ma anche i paesi a Democrazia parlamentare lo possono essere, come testimonia il caso della Svizzera. Ma qui mi fermo perché non è mia intenzione dibattere di riforme istituzionali, bensì del nostro Premier Renzi, che da questa prima spiegazione viene indirettamente deresponsabilizzato dei suoi insuccessi: in realtà la sua colpa è di non capire il suo ruolo istituzionale come la Costituzione lo ha stabilito, non per l’azione politica di un solista, bensì come quello di un direttore d’orchestra, che sappia coordinare l’azione dei suoi uomini di governo e muoversi in sintonia col Parlamento, che resta sovrano.
La seconda motivazione invece lo inchioda totalmente per la pochezza della sua azione politica sin qui registrata. Ma per farlo devo partire dall’analisi del fatto che Matteo Renzi, a parte il dato anagrafico, è ben lungi dall’essere un uomo nuovo per la politica italiana, attivo in politica sin dagli anni del liceo. Dapprima impegnato nei gangli periferici di partito (Ppi e Margherita) in Toscana, per poi arrivare sino alla segreteria nazionale Ds, è stato anche Presidente della Provincia di Firenze per due mandati consecutivi e Sindaco di Firenze per un mandato, per diventare infine, pur non essendo stato eletto, Primo Ministro, non prima di aver rassicurato il suo predecessore con l’hashtag #enricostaisereno.
La verità è che il giovane Renzi è già un vecchio mestierante della politica, ha sempre e solo bazzicato segreterie e poltrone politiche, non si è mai cimentato con il mondo del lavoro vero, quello dove impegno, capacità, dedizione e sacrificio non vengono mai abbastanza dignitosamente ricompensati sia sotto l’aspetto economico che delle soddisfazioni professionali e i problemi si risolvono veramente perché “lavorare” significa proprio questo, addivenire a qualcosa superando le difficoltà, per offrire beni e servizi utili ad altri. Non ha capacità, né professionalità specifiche, e quel che è peggio è che non è nelle sue corde considerare la “ricchezza” un prodotto del frutto dei singoli sacrifici e delle singole fatiche quotidiane di milioni di persone che in Italia tirano la carretta; lui da due decenni ha solo conosciuto e avuto a che fare con gente inserita negli oliatissimi e dispendiosissimi apparati dei partiti e della parassitaria Pubblica amministrazione italiana.
Da vecchio politico navigato e spregiudicato, per lui la “ricchezza” prodotta dal Paese è solo una torta da spartire per averne un tornaconto elettorale, non è sua intenzione far dimagrire l’apparato pubblico italiano, refugium peccatorum dei gruppi parassitari di ogni genere ben organizzati territorialmente e ultra tutelati sindacalmente, perché ciò significherebbe perdita di consenso e potere politico.
Si muove con una agilità ignota al suo sempre più rotondo fisico tra le persone che tirano le fila della soffocante “palude” italiana, e parimenti conosce alla perfezione la forza dell’immagine, già sfruttata a dovere per vent’anni da Berlusconi, ma con l’aggiunta del dinamismo dovuto allo spregiudicato utilizzo dei social network, su tutti Twitter.
Ma forse è proprio questo che la gente vuole, non sentirsi responsabilizzata nelle scelte politiche, lasciare che la propria esistenza venga cadenzata oltre che dal lavoro e dalle tasse, dalle partite di calcio, dal nuovo telefonino, dai reality show e dalla settimanale esibizione hot della starlettina tv del momento…massì, lasciamoci guidare tranquillamente dalle rassicuranti parole del “twitteraio” magico.