Presidente Penati, ieri ilsussidiario.net ha pubblicato la lettera di un’operatrice dell’Ong Avsi che da dieci lavora tra i Rom a Bucarest: sosteneva la necessità di censire i Rom, soprattutto i bambini, anche attraverso le impronte digitali. Che cosa ne pensa?
Faccio una premessa: tutte le volte in cui si affronta la questione dei Rom, bisognerebbe sempre, come metodo, partire dall’ascolto delle persone che lavorano sul campo. Se si ascoltassero queste persone, infatti, si eviterebbe di assumere posizioni ideologiche. Troppo spesso invece li si elogia in quanto volontari, ma poi, quando bisogna prendere decisioni, non vengono ascoltati e ci si rinchiude in posizioni preconcette.
Quindi, sulla base di questo, sembrano anche a lei condivisibili le proposte del ministro Maroni sull’identificazione dei Rom?
Credo che il tema delle persone che vivono nei campi nomadi, in particolar modo i minori, sia una delle questioni a cui non ci si può sottrarre. Ognuno di noi è identificabile, e credo che nessuno possa sfuggire a questa generale identificazione, nemmeno i bambini. Soprattutto quando c’è il sospetto che di questi bambini ne venga fatto un mercato.
Allora perché tante reazioni negative? Si è parlato anche di razzismo e fascismo…
Mi pare di poter dire che da parte di Maroni il tema sia stato lanciato volutamente in modo forte, cioè con l’intento deliberato di costruire una provocazione così che si creassero contrapposizioni preconcette e non si ragionasse nel merito. Nel merito rimane appunto il tema dell’identificazione, degli adulti ma soprattutto dei bambini: occorre fare in modo che questo non risulti discriminatorio, e men che meno razzista. Occorre, cioè, fare le cose che servono.
Ci si confronta su questo problema anche a livello europeo, da dove arrivano critiche a volte pretestuose, come segnalato dal vicepresidente del Parlamento europeo Mario Mauro. Lei, da amministratore locale, non trova che spesso l’Unione europea sia lontana dai problemi reali?
Sì, capita spesso l’Europa mostri ai cittadini il lato peggiore, quello della burocrazia e dei principi astratti, che non aiutano a trovare una soluzione ai conflitti che inevitabilmente sorgono nei territori. L’Europa funziona bene come luogo di composizione degli interessi forti, degli interessi economici, ma può risultare lontana dalle esigenze della gente. E anche in questo caso lo dimostrano.
La sinistra, secondo lei, come si sta comportando di fronte alla questione dei rom?
Secondo me si fa un gioco che risulta utile specularmente: Maroni lancia una provocazione, ponendo il tema dell’identificazione delle persone che vivono nei campi rom, e della protezione dei bambini, in modo provocatorio; la sinistra più radicale risponde a questa provocazione con gli insulti e alzando un muro di ostilità e di accuse rispetto a chi fa queste proposte. Le due posizioni si tengono: la Lega ha bisogno di proposte enunciate in modo forte e provocatorio, difendendo la posizione dei “duri e puri”, e dall’altra parte c’è bisogno di una contrapposizione forte per essere altrettanto “duri e puri”. Ed è così che poi i cittadini rimangono soli.
Oltre alla questione dell’identificazione e delle impronte, che magari risulta più clamorosa, cos’altro occorre fare in concreto per risolvere la questione dei Rom?
Io credo che il Parlamento italiano e il Governo debbano tradurre in legge la direttiva sui riaccompagnamenti dei cittadini comunitari che qui non hanno fonti di sostentamento. Senza fare norme prive di umanità, ma stabilendo modalità di applicazione proprie di un Paese solidale, che mette umanità anche nel proprio agire. Bisogna però porre di fronte alle proprie responsabilità paesi come ad esempio la Romania, che sono membri dell’Unione Europea, con un tasso di sviluppo economico notevole, e che, come tutti i Paesi dell’Unione europea, si deve fare carico dei propri poveri e degli indigenti. Se qui ci sono persone che sono di nazionalità rumena che vivono in una situazione di totale miseria da anni e non hanno trovato in Italia una fonte di riscatto della propria vita, è giusto che vengano assistiti dal welfare del loro paese d’origine, tramite il meccanismo del riaccompagnamento. Questa è secondo una delle priorità da tenere presente in questa materia.