Martedì ho letto con interesse l’editoriale di Fernando De Haro, “Mani Pulite in salsa spagnola”, e pensavo a come questo scandalo rischi di costare alla Spagna molto più che una perdita di credibilità politica: potrebbe portare con sé il rischio del default. O, peggio, tramutarsi nel ricatto implicito di questo epilogo e dar vita a un regime change in barba al voto popolare e in ossequio a un equilibrio europeo dettato da élite e direttori. Poche ore dopo, infatti, la versione on-line di Der Spiegel mi faceva capire che – al netto degli errori compiuti in seno al Pp, innegabili – questa crisi si presta a essere eterodiretta.
Il giornale tedesco, infatti, non solo dava già per spacciato Mariano Rajoy, ma annunciava a gran voce il nome del suo successore: Soraya Sàenz de Santamarìa, la donna più potente della politica spagnola. Avvocato presso l’Alta Corte di Stato, 42enne, questa signora è una delle poche a non essere stata sfiorata dallo scandalo in seno al partito, dote questa che di per sé – nella Spagna di oggi – è sufficiente per qualificarla come candidata perfetta alla guida del governo. Nei profluvi di dichiarazioni e confessioni del pentito Barcenas, infatti, la Sàenz de Santamarìa non è mai nominata e, oltretutto, il fatto di essere la più stretta collaboratrice e confidente di Rajoy la mette al riparo dall’accusa di voler sfruttare il bailamme per fare le scarpe a un avversario interno.
Il problema, facendo proprio riferimento al contenuto dell’editoriale di De Haro, è: quale qualifica professionale, quale esperienza ha la Sàenz de Santamarìa per occupare il ruolo di primo ministro, a parte quello di essere estranea al caso corruttivo? Beh, a ben guardare la “Vice”, come la chiamano i suoi colleghi, è stata inviata molte volte da Rajoy a colloquio con Angela Merkel, tanto che sulla scrivania del suo ufficio tiene una fotografia con la Cancelliera tedesca. Inoltre, della sua vita privata non si sa nulla. Insomma, la donna del destino: brava, giovane, integerrima, avvocato in nome dello Stato e anche intima, politicamente, di Angela Merkel.
Sento puzza di un caso Berlusconi versione 2.0 lontano un miglio: se Rajoy non si dimetterà – e presto, molto prima delle elezioni tedesche – la Spagna questa estate potrebbe subire dai mercati una cura di tipo italiano nel 2011, ovvero un assalto alla diligenza dello spread che metterà il Paese in ginocchio, fino a giungere a una transizione stile Monti. Il problema è che la Spagna non è l’Italia, non ha le spalle larghe italiane in fatto di gestione di un alto debito pubblico e ha un sistema bancario letteralmente a pezzi, strapieno di immobili invenduti, mutui irrecuperabili, prestiti inesigibili e titoli di Stato.
Come vi dicevo martedì nel mio articolo, in questo periodo dai governi dei paesi periferici più in crisi ed esposti arrivano e continueranno ad arrivare soltanto secchiate di ottimismo. Dell’altro giorno è il rialzo quasi al 2% dell’indice spagnolo Ibex dopo che la Banca di Spagna in un suo report ha annunciato che l’economia nel secondo trimestre di quest’anno si sarebbe contratta solo dello 0,1% stando alle stime, il risultato migliore dalla fine del 2011. Il 30 luglio verrà diffuso il dato ufficiale sul Pil, ma l’entusiasmo sembra aver contagiato molti spagnoli, dopo che nel quarto trimestre del 2012 l’economia si è contratta dello 0,8% e nel primo di quest’anno dello 0,5%. Oggi, poi, verrà diffuso anche il dato sulla disoccupazione che gli analisti si attendono un calo al 26,7% dal 27,2% del primo trimestre. Inoltre, il gestore di telefonia Telefonica starebbe per comprare il ramo mobile dell’olandese Kpn per 5 miliardi di euro, sintomo per qualcuno che anche l’attività del settore corporate iberico stia tornando.
Ma c’è anche chi questo ottimismo arriva a capirlo, ma non lo condivide. È il caso di Ben May, capo economista per l’Europa di Capital Economics, a detta del quale «quest’anno l’economia spagnola si contrarrà dell’1,7% ma la crescita del Pil dello 0,3% nel 2014 mi pare pressoché irrealistica, vista anche la natura del miglioramento in atto, quasi esclusivamente legata all’export. Ci aspettiamo debole domanda delle principali destinazioni di esportazioni spagnole nei trimestri a venire e il combinato di squeeze fiscale, crollo del mercato immobiliare e deleveraging del settore privato continueranno, portando a un’ulteriore e netta contrazione della domanda interna». C’è poi la questione politica, guarda caso al centro dell’analisi di Deutsche Bank attraverso i suoi economisti Gilles Moec e Mark Wall: «La stabilità politica è in questione in parecchi paesi periferici contemporaneamente in questo momento, in Spagna come in Portogallo come in Italia. Il rischio è che queste dispute sottraggano energie e attenzione ai necessari aggiustamenti economici». Per gli analisti di Barclays, invece, «le dimissioni di Rajoy avrebbero un risultato incalcolabile sull’intera eurozona. I mercati, infatti, non si attendono né l’abbandono del primo ministro, né la caduta del governo, ma, proprio per questo, se questo dovesse accadere, l’impatto di questo scenario sarebbe molto pesante e difficile da stimare».
Insomma, qualunque sarà l’epilogo, c’è il forte rischio che la crisi politica spagnola si riverberi a livello economico e finanziario su tutta l’Europa. O, quantomeno, sui paesi periferici più vulnerabili a scossoni simili. E se nel 2011 l’attacco all’Italia fu innescato da Deutsche Bank e dalla sua scelta di scaricare in blocco 8 miliardi di debito pubblico italiano, anche la Spagna di oggi ha il suo tallone d’Achille. Coperta dalla messe di ottimismo, infatti, è passata sotto silenzio una notizia decisamente grave: ovvero, per la seconda volta in un mese, lunedì scorso, il governo spagnolo è stato costretto a prendere in prestito soldi dal Fondo per la sicurezza sociale per pagare le pensioni, le quali in Spagna durante l’estate hanno dei pagamenti extra. Significa la quasi potenziale insolvenza, visto che il costo per pagare pensioni e sussidi di disoccupazione sempre crescente sta prosciugando le casse statali.
Il governo Rajoy ha stornato 3,5 miliardi di euro dal fondo il 1 luglio e un altro miliardo lunedì 15, per far fronte al doppio assegno estivo e natalizio di cui godono i pensionati iberici. Già lo scorso anno si ricorse a questo escamotage, ma soltanto una volta, al fine di garantire il pagamento delle pensioni, per ben 7 miliardi di euro. Dopo l’ultima operazione di storno, il ministero delle Finanze ha comunicato che il Fondo può contare su 59,3 miliardi di euro, circa il 5,65% del Pil del Paese. Direte voi, c’è comunque margine per gestire la situazione. Certo, peccato che il 97% del denaro del Fondo sia investito in titoli di Stato spagnoli: avete idea cosa significherebbe un balzo dello spread, con conseguente crollo del valore di quelle obbligazioni? O, peggio, cosa significherebbe una ristrutturazione del debito o magari un default, con haircut feroce su quelle detenzioni? Che qualche milione di spagnoli si ritroverebbe senza pensione. A quel punto, il rischio di una degenerazione delle proteste sociali sarebbe automatico. E se la situazione politica non si chiarirà, qualcuno nelle prossime settimane potrebbe essere tentato di liberarsi di titoli spagnoli, innescando la più classica delle spirali speculative autoalimentanti. Con tutto ciò che ne consegue.
Attenzione quindi ai facili ottimismi. E, ancor di più, ai Robespierre interessati.
P.S.: Immagino già che, giunti al termine dell’articolo, i miei detrattori stiano sottolineando come io mi sia ben guardato dal dare conto del fatto che l’indice Pmi flash dell’Eurozona sia migliorato a luglio, tornando sopra i 50 punti. Lo faccio ora. Grazie al buon andamento della Francia e all’impennata della Germania, l’indice composito dell’area euro è avanzato da 48,7 a 50,4 punti, sopra gli attesi 49,1 punti, portandosi ai massimi da 18 mesi e superando la soglia dei 50 punti che separa le fasi di espansione da quelle di contrazione dell’economia. Contenti? Bene, ora vi spiego non solo perché non ne avevo fatto menzione prima, ma anche perché questo dato non significhi proprio nulla.
In primo luogo, per quanto ci dimostra il primo grafico, ovvero che già all’inizio del 2012 si era tornati in area di crescita – ovvero sopra 50 – salvo poi finire come siamo finiti. In secondo luogo, perché il secondo grafico dimostra plasticamente il motivo per cui sono certo che questo trend non significa ripresa. Guardate a che livello sono i prestiti bancari verso soggetti primati nell’area euro a fronte della massa monetaria M3? Mi spiegate come si può pensare che l’economia cresca a fronte di un meccanismo di fornitura e trasmissione del credito che funziona solo per i paesi del Nord ma che è completamente saltato nel suo insieme? Rifletteteci, perché quel dato vuol dire solo che Germania e Francia (fresca di declassamento di Fitch, due dati che divergono un po’) forse stanno ripartendo un pochino. Ma a me, francamente, di questo non frega assolutamente nulla, non essendo né tedesco, né francese.