Il modo in cui Matteo Renzi affronta lavoro e giustizia sembra deciso e concreto. Se lo avesse fatto anche per la Commissione Europea non ci troveremmo in pasticci che possono trasformarsi in guai. Al voto europeo del 25 maggio – di protesta o di speranza in un cambiamento – si è risposto con quella che i giornali italiani e stranieri chiamano “Die Kommission”. Il primo errore è stato quello di rinunciare al chiarimento sui contenuti prima di licenziare gli assetti (impegno che aveva preso Renzi al suo esordio come presidente di turno dell’Ue). Il secondo è stato quello di rinunciare a un’azione di contenimento della Merkel dissociandosi immediatamente da David Cameron che non voleva dare per scontata la presidenza Juncker. Nonostante il voto europeo avesse fatto emergere una generale richiesta di ridimensionamento della Merkel, Renzi ha invece fatto un accordo diretto con la Cancelliera dandone per scontato la centralità, scompaginando anche lo schieramento dei socialisti europei, in cambio della Mogherini. Avuta l’assicurazione sulla nomina a Ministro degli esteri di un’Europa che (come recita persino lo spot Ue della Rai di questi giorni) “non ha ancora una politica estera comune”, Matteo Renzi è uscito di scena lasciando campo libero alla Merkel su contenuti e assetti. Risultato? Così la Mogherini esulta all’annuncio della designazione: “In Commissione sono l’esponente socialista più alto in carica e intendo giocare un ruolo politico”. Ed aggiunge: “La mia rete di contatti esteri è vasta, non sarà fatta di ex premier ed ex ministri, ma forse conta futuri ministri”. Nello stesso giorno – 31 agosto – Juncker formava il nuovo esecutivo europeo con 5 ex premier e 19 ex ministri nominando come “socialista più alto in carica” l’olandese Jeroen Dijsselbloem che – affinché non ci fossero equivoci con Renzi e la Mogherini – ha il titolo di “Primo VicePresidente Vicario”. La Mogherini risulta così confinata senza “un ruolo politico” in quanto la Commissione è articolata con un vertice di altri 6 vicepresidenti che controllano i 20 commissari secondo una netta spartizione. Ben più rilevante della Mogherini è, ad esempio, il ruolo della vicepresidente slovena (altro ex premier), Alenka Bratusek, che con il compito di creare l’Unione Energetica Europea ha le competenze per Energia, Ambiente, Industria, Agricoltura, Trasporti, Ricerca ed altro ancora. La Mogherini è la settima vicepresidente “senza portafoglio” tanto che i giornalisti stranieri scrivono di 6 vicepresidenti (v. Jean-Marie Colombani sul “Corriere della Sera” di venerdì). Il declassamento della Mogherini era prevedibile (e forse evitabile se Palazzo Chigi avesse seguito le mosse tedesche): in agosto la Merkel era infatti andata a Santiago de Compostela per incontrare il premier spagnolo, Rajoy, e aveva pubblicamente annunciato che il ministro dell’Economia spagnolo, Luis de Guindus, sarebbe andato alla guida dell’Eurogruppo. Presidente dell’Eurogruppo era appunto Dijsselbloem che però era in scadenza a metà 2015. Se il socialista olandese accettava di dimettersi in anticipo era, evidentemente, per entrare nella nuova Commissione con una posizione di rilievo. Ma da parte italiana si guardava all’effetto annuncio senza fare attenzione ai contenuti come nel caso del secondo pasticcio: il Fondo Investimenti.
Renzi torna in Italia vantandolo come un’altra vittoria. Poi sorge qualche dubbio e ne reclama polemicamente lo sblocco, ma da Berlino il ministro delle Finanze, Schauble, gli replica che l’accesso è regolamentato secondo singoli progetti che devono prima essere redatti e presentati a Bruxelles per essere giudicati dagli uomini della Merkel (che insieme alla Commissione hanno conquistato i vertici di tutte le altre istituzioni con l’ex premier polacco, Donald Tusk, presidente del Consiglio Europeo). Non solo Renzi, ma anche Hollande è stato “bidonato” in quanto Moscovici è diventato commissario agli Affari Economici, ma “coordinato” da apposito vicepresidente, l’ex premier finlandese ‘super-rigorista’, Jyrki Katainen. Se Renzi pensava di avere una sponda a Bruxelles in Moscovici e Mogherini si è fatto solo illusioni. E’ a Katainen che Padoan deve consegnare entro il 15 ottobre il testo della nostra Legge di Stabilità per chiedere il “nulla osta”. I leader del Pse che Renzi ha presentato a Bologna come vittoriosi sono socialisti in camicia bianca che hanno alle spalle la Commissione più di destra della storia dell’Unione europea con – in più – un capodelegazione socialista scelto dalla Merkel. Se la Mogherini, rappresentante italiano a Bruxelles, non ha voce in capitolo sui temi di primaria importanza per l’Italia anziché continuare a cantare vittoria sarebbe meglio – finché si è in tempo – correre ai ripari a cominciare dalla presenza nella commissione del Parlamento europeo che prossimamente deve vagliare i candidati. Sarebbe opportuno, prima di dare il “nulla osta” alla nomina di Katainen, recuperare un minimo di potere di contrattazione e avere garanzie sui contenuti ‘rigoristi’ del suo mandato. La Merkel non è Adenauer, né Brandt, né Kohl. Sta facendo una politica possessiva di emarginazione della Gran Bretagna e di ridimensionamento dei cofondatori Francia e Italia dando maggiore peso a paesi minori, “satelliti” e “vassalli”, con un pericoloso squilibrio. Un’Unione Europea dove la Germania è lo “Stato guida” è uno scenario storicamente inammissibile per la popolazione francese e britannica. Con – in più – l’euro gestito come moneta tedesca nel giro di due anni rischiamo la vittoria in Francia della Le Pen, in Gran Bretagna del “sì” al referendum sull’uscita dell’Ue e in Italia maggioritaria l’uscita dall’euro.