È stupefacente l’abilità dei nostri politici nel lanciare messaggi perfetti per disaffezionare gli elettori. Per spingerli, come hanno fatto ultimamente i siciliani, a starsene a casa e disertare i seggi elettorali. Astenersi. Pensando: “Sono tutti cialtroni”. L’offensiva di Renzi contro le “fake news” è un esempio perfetto. Non tanto per i dettagli deprimenti con cui è stata mossa, oggetto di una polemica incrociata a tratti anche surreale tra i renziani doc e quelli del Fatto quotidiano; quanto perché è un argomento che non tocca e non sposta di un millimetro le coscienze delle persone, a cominciare dai Millennials. Semmai le offende.
Cerchiamo di capirci. Cos’hanno in comune Luigino Di Maio, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi -cioè un sicuro candidato premier delle elezioni politiche 2018 e altri due che vogliono a tutti i costi ricandidarsi a premier ma non sono ancora certissimi di riuscirci (Renzi perché metà del suo elettorato non lo sopporta più, Berlusconi perché una sentenza giudiziaria glielo impedisce fino a possibile ma improbabile nuova sentenza europea)? Hanno in comune la grave mancanza di credibilità.
Di Maio, per manifesta inconsistenza culturale e professionale: sbaglia i congiuntivi, non ha mai lavorato in vita sua, è un esordiente assoluto e non ha alcun senso comune affidare 56 milioni di abitanti in simili mani, per quanto nella storia sia accaduto mille volte e possa ripetersi, sempre con danni epocali. Di Maio è espressione di un movimento che ha fatto del web il suo dichiarato terreno di gioco, ma non riesce più a svilupparvi numeri significativi – a parte il blog di Beppe Grillo -riscuote adesioni risibili a tutte le consultazioni di base con numeri da contagocce e ha teorizzato più volte, soprattutto quand’era in vita Casaleggio padre, la centralità della Rete come sede e veicolo di propaganda elettorale.
Renzi e Berlusconi sono accomunati da tante cose, età e capelli a parte. Prima fra le quali, una tendenza all’iperbole, alla promessa, e alla bugia scoperta. Materie su cui hanno memoria cortissima. Questa percezione è talmente vasta e radicata nell’opinione pubblica che nemmeno i sostenitori di ciascuno dei due la rinnegano, semplicemente la considerano “veniale” rispetto ai pregi del loro beniamino. Nessuno nega che quell'”Enrico stai sereno” di Renzi all’indirizzo di Enrico Letta premier fosse una balla spaziale, un inganno, ma i renziani sostengono che il segretario del Pd abbia fatto bene a detronizzare il suo predecessore a Palazzo Chigi, perché inadeguato, e quindi assolvono la sua bugia in nome della ragion di Stato; e che Ruby Rubacuori non fosse, con ogni evidenza, la nipote di Mubarak ma tutt’altro, e che quindi definendola tale Silvio Berlusconi mentisse, sotto-sotto lo sanno anche ad Arcore, ma lo classificano tra le azioni di legittima difesa contro insinuazioni e critiche anti-Cavaliere ingiuste e immeritate in quanto la vita privata del Capo andrebbe secondo loro lasciata fuori dal dibattito politico.
Ragionando poi sul terreno degli impegni elettorali – perché la campagna elettorale per il 2018 è già ahimè iniziata – è evidente che nessuno dei due, anzi dei tre, ha gli elementi per prendere alcuno degli impegni di spesa che deriverebbero dall’attuazione delle loro promesse. Per esempio dai vari sussidi al reddito promessi da entrambi; gli 80 euro anche alle famiglie con figli che predica Renzi; la flat-tax sbandierata da Berlusconi. Parlarne per slogan in tv, nelle interviste e nei comizi, senza uno straccio di cifra a supporto e con la finanza pubblica che fa acqua da tutte le parti, è in sé una fake-news.
Con la stessa totale grossonalità etica e culturale, e con la totale spregiudicatezza, rivelate da Donald Trump nella sua campagna elettorale, i candidati italiani – che stanno alla trasparenza predicata dagli idealisti della Rete come Dracula sta all’Avis – contano di usare a proprio vantaggio la pervasività approssimativa del web gettando discredito sui rivali e non accorgendosi che il discredito avvolge tutti come una nuvola. E nessuno – naturalmente – prova neanche a sfiorare il vero problema, cioè quello di introdurre filtri severi (eppure non di natura censoria, questo è il difficile!) su un media che sta diventando sempre più pericoloso e nocivo. Perché ciascun spero in cuor suo nelle fake-news che aiutano lui, quelle cioè dannose per gli avversari.
Quale giornale – scegliete pure mentalmente quello che detestate di più, o l’emittente televisiva più volgare e greve, oserebbe pubblicare immagini pedopornografiche come ha appena fatto l’algoritmo di Youtube, senza che nessuno di chi lo fa funzionare proprio nel selezionare immagini intervenisse? Quale pessimo direttore giornalistico “tradizionale” avrebbe pubblicato sul suo sito il video della povera ragazza napoletana che si è suicidata dopo aver scoperto che un filmato privatissimo di sesso con il suo compagno era diventato di pubblico dominio? Nessun giornalaccio, nessuna emittente da strapazzo, perché comunque nel pur maleodorante mondo dei media tradizionali una forma di sanzione dei comportamenti più deplorevoli esiste, e colpisce. Nulla di simile sul web, dove i contenuti sono pubblicati senza filtri possibili e la responsabilità è sempre e solo individuale, di chi li ha realizzati, ammesso che si riesca a risalire a lui, eventualità rarissima.
Questo è il cancro delle fake news, un cancro da estirpare; e di questo naturalmente Di Maio, Renzi e Berlusconi non parlano, scatenandosi invece a gridare al “gomblotto!” (copyright dell’indimenticabile Aldo Biscardi) come se i fake fossero sempre quelli degli altri contro di loro.
Polemiche di terz’ordine, micidiali nel far danno a una democrazia già boccheggiante. Per carità, concettualmente non c’è nulla di nuovo sotto il sole, basta rileggere quel che canta Don Basilio nel Barbiere di Siviglia: “La calunnia è un venticello, un’auretta assai gentile che insensibile sottile leggermente dolcemente incomincia a sussurrar. Pian piano terra terra va scorrendo va ronzando: nelle orecchie della gente s’introduce destramente e le teste ed i cervelli fa stordire e fa gonfiar”; o Virgilio, nel libro quarto dell’Eneide: “Subito corre per tutte le città della Libia / la rapida Fama, il malanno più veloce che esista. / Vive di mobilità, acquista forze andando; / piccolissima prima, timorosa, ben presto / si leva alta nell’aria, tocca terra coi piedi / e col capo le nuvole”.
Il web è solo un acceleratore di fenomeni, deteriori o positivi, che come si vede sono sempre esistiti perché attengono all’animo umano. Solo che è potentissimo e pericolosissimo, perché incontrollabile, e in questo caso diventa un acceleratore di particelle di fango. E non si vede all’orizzonte nessun Rossini e nessun Virgilio a svelarne i meccanismi perversi, ma solo tre personaggi inadeguati.