Mi pare che il dibattito suscitato dal Dario Antiseri sul Corriere della Sera, a cui ha dato seguito l’editoriale di domenica di Galli della Loggia, abbia il merito di muovere gli animi e aiutare a ragionare, dopo anni di soggezione o di insignificanza, a come rendersi responsabili del bene comune rivalutando l’azione politica, proprio mentre tutto inneggia a un’antipolitica pericolosa e irreale, perché la natura non accetta vuoti, e soprattutto il potere.
Non illudiamoci dunque che il grillismo guascone, come già accaduto per il leghismo e il dipietrismo, si sottragga alla logica della spartizione di posti e poltrone. Rifletto sull’intervento in queste pagine di Massimo Borghesi. Tutto vero, l’analisi sulla Chiesa “extraparlamentare”, che si rivolge direttamente alla politica attraverso il progetto culturale, e fa della difesa dei valori non negoziabili un terreno prepolitico per influenzare il Parlamento. Il difetto, nota Borghesi, è che si è trattato di un processo inevitabilmente clericale ed elitario, che non ha portato a una maturazione di una nuova classe di politici cattolici.
Facciamo un passo indietro: se oggi in molti guardano nostalgicamente a un passato glorioso che ha tenuto insieme per 40 anni il Paese, è pur vero che la Dc si è sfasciata da sola, per insipienza dei suoi leader, per un distacco progressivo dai suoi valori fondativi e da quell’animo popolare che aveva mosso cuore e braccia di tanti speranzosi nel dopoguerra. Il cardinal Ruini, cui si deve la strategia del “rompete le righe”, sparpagliatevi qua e là, uniti su ciò che vale e ci preme, è stata geniale e ha spronato tante personalità a giocarsi in prima persona: bisogna ricordare le battaglie sulla Legge 40, sul testamento biologico, e la nascita di quell’associazioni di fatto politiche, come Scienza e Vita, come il Forum delle Famiglie, il terzo Settore, eccetera, che con la benedizione delle gerarchie hanno spronato, dibattuto, anche aspramente, per far sentire la voce di un’antropologia cristiana come cardine dell’agire sociale e politico.
Non è colpa del cardinal Ruini se pochi politici hanno brillato per carisma e coraggio, diventando così rilevanti da segnare la politica tutta e convincere i cittadini. Troppo confusi, figli di ideologie che hanno lottato troppo per potersi pacificare; tropo paurosi di perdere, e per questo succubi di chi pareva nei diversi tempi ottenere il consenso. E clericali più dei preti, perché un cristiano per far politica non ha bisogno di benedizioni o di voti, mentre questo si è chiesto ai vescovi, anziché rischiare. Quanto ai movimenti, che avrebbero “assolto al compito storico di contenimento del comunismo”: in realtà hanno svolto il compito piuttosto male, perché il comunismo l’abbiamo subito e lo respiriamo ancora con il suo contraltare, il liberismo e l’individualismo sfrenati del capitalismo tuttora in auge.
Non è colpa del cardinal Ruini se la maggior parte di questi movimenti per anni sono stati indecisi tra scelta religiosa e collateralismo alla sinistra dominante in campo culturale. Estenuati da un complesso di inferiorità che dal ’68 in poi ha fatto piazza pulita di tradizione e studio del magistero, ha ridotto la portata del Concilio a una spolverata progressista nelle celebrazioni liturgiche e nel coinvolgimento dei laici, esercito di rinnovati perpetue e chierichetti incapace di educare e affascinare le nuove generazioni. Non c’era un granchè di positivo esistente, ahimè. A parte lodevoli eccezioni, cui il pontificato di Giovanni Paolo II ha dato respiro e forza.
La parte più intelligente e accorta delle gerarchie ha capito che solo dalla cultura si poteva ripartire. Troppo tardi, forse: per anni quando si pensava a un intellettuale cattolico l’unico cognome a venire in mente era Messori, e anche quello poco gradito, agli uni o agli altri. Ma qualcosa si è fatto: dialogare davvero, senza senso di inferiorità e paure, con l’intellighenzia che gestiva i media e le idee; portando perfino qualcuno dei maîtres à penser a considerare che questi cattolici non sono poi così male; resistere, sul terreno culturale e politico, su quei valori non negoziabili che stano tanto a cuore al Papa e ai vescovi, e resistere è stato ardito ed eroico, quando tutto, tutto congiurava al contrario. Riproporre da ogni intervento, ad ogni prolusione, i testi della dottrina sociale della Chiesa, le encicliche iluminate dei Pontefici, e peccato per la stampa gli intellettuali e i cristiani tutti, prelati e parroci e popolo, se non li hanno letti, studiati.
I cattolici si sono visti, ci sono stati. Nel “maso chiuso” denunciato da Galli della Loggia, tra orgoglio di un’identità e risentimento? Ma il maso era un fortino sotto assedio, e ci avevano messi dentro apposta, per dar fuoco alle polveri e farlo saltare. Non ci sarebbero oggi incontri a Todi, non si discuterebbe id quale forma dare a una nuova presenza dei cattolici in politica, a torto o a ragione, se non ci fosse stato un lavoro paziente e abile di tessitura, di sostegno, di addestramento di protagonisti. Potrei fare almeno una cinquantina di nomi, e ne dimenticherei molti.
Non saranno tutti dei De Gasperi, ma ci sono, e per oltre trent’anni, non ci sono stati. Scrivono, parlano, inventano, costruiscono. Saranno pochi, ma irrilevanti no, non mi pare. Non tutti arrivano alle prime pagine del Corriere o di Repubblica, ma lavorano nelle università, nelle opere sociali, girano le città e i paesi, sono interlocutori di molti, non solo dei cristiani. Non so se stanno elaborando a dovere un pensiero della modernità, o se il pensiero non si formi insieme all’agire, all’essere presenza dove ci è chiesto. Il pessimismo non è concesso ai cristiani. Bisogna guardare a quel che c’è, e la realtà saprà stupirci e regalarci il centuplo. C’è un lavoro per ciascuno, direbbe Eliot, ciascuno al suo lavoro.