In linea di principio sarebbe opportuno rottamare la rottamazione. Troppo spesso in passato la Fiat ha ottenuto, con eccessiva disinvoltura, sostegni economici dal governo. Certo, si tratta pur sempre della maggiore industria italiana e come tale resta un patrimonio da preservare. Ineccepibile.
Quello che stona è l’interventismo statale in economia mirato per di più solamente verso alcune specifiche aziende, drogando la mano invisibile del mercato e stravolgendo le regole della concorrenza. L’esempio più lampante di questa distorsione e degli effetti che genera è arrivato proprio dagli Stati Uniti. La discutibile, anzi, catastrofica politica tenuta sul salvataggio di alcune banche a dispetto di altre ha allargato il raggio e la profondità di un terremoto finanziario che tuttora condiziona a cascata l’economia reale.
Il quadro generale, sulla carta etichettato come libero mercato, è supportato da una nuova cornice dove i colori dei principi possono silenziosamente essere riposti nel cassetto. Così le enormi difficoltà in cui versa il settore automobilistico ha indotto Europa e gli stessi Stati Uniti a varare un pacchetto di aiuti per sostenere i colossi in crisi. L’ultimo blitz in ordine di tempo porta la firma della seriosa Gran Bretagna che intende mettere sul piatto 2,5 miliardi di euro per tutelare l’intero settore auto. Una mossa senza dubbio poco british ma molto pragmatica.
All’indomani dell’allarme lanciato da Sergio Marchionne («Senza aiuti, 60 mila posti di lavoro sono a rischio» ha detto l’amministratore delegato della Fiat), sarebbe paradossale per il governo italiano restare indifferente. In un mondo che cambia, i Paesi stranieri sembrano diventati gli attori principali di una commedia in cui i fondi di investimento hanno dimenticato la trama. E allora anche l’Italia ha il dovere di recitare la sua parte.
Il pacchetto Fiat allo studio del governo non dovrebbe superare i 300 milioni di euro e si tratterebbe di una spesa per sostenere interamente le vendite: in pratica una proroga degli incentivi per la rottamazione scaduti a fine dicembre. L’allargamento degli incentivi agli Euro due consentirebbe poi di ampliare la platea delle vetture che potrebbero sfruttare il bonus (si tratterebbe di 250 mila automobili secondo gli ultimi calcoli).
A conti fatti, le misure del governo consentirebbero un risparmio di 1.400 euro per ogni automobile da acquistare a cui la Fiat ne aggiungerebbe altrettanti per portare a circa 2.800 euro lo sconto complessivo sul prezzo di listino. Una boccata d’ossigeno anche per le imprese di tutto il comparto in quanto i guai della Fiat hanno effetti diretti su tutta la filiera della produzione: mettere in mobilità un operaio del Lingotto vuol dire mandare a casa quattro operai dell’indotto. Non a caso Confindustria vede nero e stima in circa 300 mila il numero di lavoratori a rischio cassa integrazione.
Dal canto suo, Fiat accelera il dossier alleanze sulle due sponde dell’Atlantico. Da un lato ha avallato un’intesa con Chrysler e dall’altro tiene aperti i canali con Peugeot per un’eventuale accordo più ad ampio raggio. In un periodo di grossa crisi come quella attuale si fa quel che si può e ognuno tende a limitare i danni a scapito degli altri.
Lo stesso presidente francese, Nicolas Sarkozy, è pronto a finanziare i costruttori a condizione che non taglino investimenti e soprattutto posti di lavoro in Francia. A livello industriale l’intesa Fiat-Peugeot avrebbe senso proprio in caso di consistenti sinergie sui costi mentre l’alleanza con Chrysler ha una logica di utilizzo di asset già disponibili e di sviluppo su nuovi mercati.
Insomma, Fiat ha fatto la sua strada e ora spetta a Palazzo Chigi decidere quanta benzina mettere nel serbatoio.