«L’assoluta priorità per il nostro Paese è la riduzione del carico fiscale, ma il governo non può attuarla perché l’anno scorso ha perso la sua occasione d’oro: rimettere in ordine i conti in una fase in cui tutti gli indicatori economici erano favorevoli». È il commento di Nicola Rossi, docente di Analisi economica all’Università Tor Vergata di Roma ed ex deputato prima del Pd e poi del Gruppo Misto. Mercoledì il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, è tornato ad attaccare l’Ue affermando che lo sforzo richiesto all’Italia è “deformato da considerazioni statistiche” e che le regole europee “impongono all’Italia aggiustamenti dolorosi, recandole maggior danno che ad altri Paesi”. Intanto, secondo indiscrezioni pubblicate da Repubblica, il governo (anche se il viceministro Morando l’ha smentito) starebbe studiando una riduzione dell’Irpef compensata da aumenti dell’Iva.
Professore, una politica fiscale di questo tipo potrebbe avere delle controindicazioni?
Spostare il carico fiscale dall’Irpef all’Iva è una scelta che l’Ue ci aveva consigliato e che era stata immaginata da tempo. In un momento di bassa inflazione e di prezzi fermi questa scelta potrebbe non avere particolari controindicazioni. Il punto di fondo è che gli italiani avevano capito che il governo intendeva ridurre l’Irpef senza aumentare altre entrate. Se invece alza l’Iva, allora la storia è un po’ diversa.
In che senso la bassa inflazione potrebbe favorire questa operazione?
Un’operazione di spostamento dall’imposizione diretta a quella indiretta di solito determina un aumento dei prezzi, perché la maggiore Iva si scarica poi sul prezzo di vendita dei prodotti. Questo è certamente il momento più indicato per farlo.
Resta il fatto che l’imposizione complessiva non scenderà. Lei ritiene che se ne possa fare a meno?
No. L’assoluta priorità di questo Paese è la riduzione del carico fiscale. Se vogliamo che l’economia migliori, la pressione fiscale si deve ridurre in modo significativo e permanente. Ciò verso cui stiamo andando non è una riduzione della pressione fiscale.
Intanto Padoan è tornato ad alzare il tiro contro l’Europa. A che giova continuare a tenere acceso lo scontro?
Quello di Padoan è l’ennesimo tentativo di recuperare uno spazio fiscale che in realtà ci saremmo dovuti procurare da soli l’anno scorso attraverso una politica di bilancio più disciplinata. Potevamo mettere da parte ciò che abbiamo risparmiato sugli interessi e attuare una politica fiscale un po’ più attenta di quanto abbiamo fatto, sfruttando la pur debole crescita. Probabilmente quest’anno ci troveremmo in condizioni migliori.
Perché non si è fatto?
Perché il governo Renzi invece ha voluto spendere quanto si poteva e anche quanto non si poteva, e la conseguenza è che oggi ci troviamo in una situazione non facile. Non credo che se ne esca andando a chiedere flessibilità e revisione delle regole. Le mosse del governo non fanno che segnalare una sostanziale debolezza dell’Italia.
È una debolezza politica o di altra natura?
È una debolezza in primo luogo economica. Noi continuiamo a crescere meno della media Ue, ci portiamo sulle spalle un debito molto pesante, e siamo quindi un elemento di rischio sistemico. Quando si è in queste condizioni più di tanto non ci si può muovere.
Stati Uniti e Giappone non hanno un debito molto più elevato del nostro. Perché proprio l’Italia sarebbe un rischio sistemico?
Perché, come abbiamo visto nel 2011, basta un nulla per metterci in condizioni difficili. Da molti punti di vista inoltre la nostra situazione non è paragonabile a quella del Giappone. L’Italia è un problema perché cresce poco, e quindi non offriamo garanzie molto solide a chi detiene il nostro debito. Quest’ultimo è sostenibile semplicemente perché i tassi d’interesse molto bassi, altrimenti in situazioni normali ci sarebbero dei problemi.
L’Italia è ancora un Paese vulnerabile?
La nostra vulnerabilità è evidente e andava affrontata per tempo sfruttando tutti i margini. Quando il Pil cade in modo significativo, come è avvenuto in Italia negli ultimi anni, non si può pretendere troppo. Ma quando il Pil ricomincia a salire le politiche fiscali devono tenerne immediatamente conto. Il debito è anche il limite principale alla nostra politica economica, perché questo macigno impedisce di attuare una serie di misure dalla riduzione delle tasse ad alcune spese di cui probabilmente ci sarebbe bisogno.
(Pietro Vernizzi)