Il disegno di legge costituzionale attualmente all’esame della Camera – e già approvato in prima lettura dal Senato – per introdurre un particolare procedimento di revisione della Costituzione è stato aspramente criticato da Grillo, fondatore e principale esponente politico del Movimento 5 Stelle, che lo ha definito come “un colpo di Stato annunciato” che va combattuto “in nome della democrazia”. Si vorrebbe infatti cambiare la Costituzione “senza impedimenti da parte dell’opposizione in parlamento” e “senza il consenso dei cittadini”.
Leggendo il testo del disegno di legge, a ben vedere, si possono mettere i seguenti punti fermi: la procedura di revisione costituzionale che la maggioranza vorrebbe introdurre, non elimina affatto la possibilità che le opposizioni svolgano il loro ruolo nel determinarsi delle eventuali revisioni costituzionali, né in alcun modo impedisce che i cittadini si possano esprimere sul contenuto delle riforme di rango costituzionale che fossero eventualmente approvate dal Parlamento, peraltro sempre con doppia deliberazione e nel rispetto dei particolari quorum di “maggioranza qualificata” che sono richiesti dall’art. 138 Cost. Anzi, si accresce la possibilità di sottoporre la riforma – o le riforme – di rango costituzionale al voto popolare, ammettendo in ogni caso la richiesta di referendum (che invece il vigente art. 138 Cost. non ammette quando nella seconda deliberazione delle Assemblee si ottiene il consenso di più dei due terzi dei componenti).
Ed allora perché la procedura che sarebbe introdotta con l’approvazione del disegno di legge costituzionale è così aspramente criticata? Perché, in breve, si tratterebbe di una procedura derogatoria che differenziandosi da quella prevista in via generale dall’art. 138 Cost., determinerebbe una semplificazione inaccettabile perché, in modo palese o fraudolento, ridurrebbe le garanzie democratiche previste dall’art. 138 ovvero sovvertirebbe quanto la Costituzione dispone nella fondamentale disciplina sulla produzione delle regole di rango costituzionale.
Occorre allora verificare se le deroghe introdotte dal disegno di legge costituzionale siano tali da configurarsi come una “rottura” inaccettabile sul piano dei principi costituzionali supremi. Come noto, infatti, la Corte costituzionale ritiene che le leggi di rango costituzionale incontrino limiti impliciti e ulteriori rispetto alla irrivedibilità della forma repubblicana che è prescritta dall’art. 139 Cost. E, secondo la giurisprudenza costituzionale, tali limiti sono costituiti, tra l’altro, dai “principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale”, quelli cioè desumibili dalla disciplina costituzionale e che informano e caratterizzano in modo irreversibile l’intero assetto della Costituzione italiana. Non si tratta di una questione che si pone per la prima volta, perché già in dottrina si è discusso di ciò quando negli anni 90 si approvarono due leggi costituzionali “di procedimento” piuttosto simili a quella oggi in discussione (le leggi costituzionali n. 1 del 1993 e n. 1 del 1997).
Autorevoli giuristi si schierarono in senso contrario alle deroghe procedimentali approvate in quegli anni, mentre altri giuristi, altrettanto autorevoli, non rilevavano la sussistenza di dubbi consistenti. Nel complesso, le deroghe introdotte nel disegno di legge costituzionale oggi in discussione – come, ad esempio, l’introduzione della commissione bicamerale con funzioni referenti oppure la riduzione del periodo di tempo che deve intercorrere tra la prima e la seconda deliberazione di ciascuna Assemblea − non appaiono così rilevanti da incidere in modo sostanziale sui principi di “garanzia” desumibili dall’art. 138 Cost. in relazione alla tutela delle minoranze o comunque delle opposizioni.
Un aspetto va comunque sottolineato e non può essere trascurato: ciò che nei due casi precedenti fece superare in concreto le obiezioni prospettate, fu la sostanziale convergenza della grandissima parte delle forze politiche che si schierarono, sia nel 1993 che nel 1997, a favore di tali procedimenti di revisione costituzionali in deroga all’art. 138 Cost. In verità, può aggiungersi, l’insuccesso di entrambi i procedimenti riformatori impedì di verificare in concreto – eventualmente sollevando la questione di costituzionalità innanzi alla Corte costituzionale – la fondatezza dei dubbi che pure furono sollevati.
Oggi, la situazione si presenta diversa. Infatti, una forza politica presente in Parlamento – e non certo irrilevante – manifesta una strenua opposizione al procedimento di revisione costituzionale in deroga che si sta predisponendo. E tale opposizione non concerne singoli aspetti del procedimento derogatorio che la maggioranza intende introdurre, ma l’obiettivo stesso del disegno di legge costituzionale in corso di esame.
Che si tratti di un’opposizione di merito o piuttosto una posizione pregiudiziale motivata da ragioni soprattutto politiche, non sembra dirimente: un processo di riforma di ampio respiro, come quello che si prefigura all’orizzonte, richiede il più ampio coinvolgimento possibile delle forze presenti in Parlamento. Di ciò occorrerà tenere conto quando si arriverà alla prova dei fatti.