Piovono emendamenti sulla legge elettorale. In Commissione affari costituzionali della Camera si lavora per trasformare il Rosatellum nel nuovo testo alla tedesca (che tedesco non è) sul quale c’è accordo fra i tre maggiori partiti, Pd, Forza Italia e M5s. Secondo quanto riportato da Repubblica, ieri è stata raggiunta un’intesa sulla riduzione da 303 a 225 dei collegi uninominali e sulla riduzione da 27 a 22 delle circoscrizioni proporzionali. Soppressa anche la possibilità di candidature plurime: ciascun candidato potrà correre solo in un collegio e in una lista. La modifica aumenta la possibilità che i candidati eletti nel collegio uninominale non si vedano scavalcati dai capolista eletti nella medesima circoscrizione. Continua, inoltre, il no alle preferenze. Tecnicismi, si dirà. Ma è proprio nei dettagli che si gioca la partita della legge più politica di tutte, quale è, da sempre, la legge elettorale. Le modifiche intervenute ieri non cambiano la valutazione — una sostanziale bocciatura — del patto Renzi-Berlusconi-Grillo da parte del costituzionalista Mario Esposito. Per il quale lo schema propinato come “tedesco” è e rimarrà incostituzionale. Ecco perché.
Se fosse confermato l’impianto che conosciamo, il nuovo sistema elettorale sarebbe costituzionale?
I sospetti di incostituzionalità sono più di uno. Il primo discende già dal metodo di lavoro: una legge elettorale discussa poco nelle competenti sedi parlamentari e molto al di fuori, con interventi determinanti di soggetti privi di ogni investitura rappresentativa, peraltro in un contesto segnato da una profonda incrinatura della stessa rappresentatività parlamentare, se solo pensiamo che i deputati e i senatori attualmente in carica sono stati eletti con una legge dichiarata incostituzionale più di tre anni fa.
Vada avanti, professore.
Altro sospetto, per così dire, apicale: il dibattito viene condotto, nella migliore delle ipotesi, con riferimento alle decisioni della Consulta 1/2014 e 35/2017, senza considerare che le disposizioni rilevanti in materia elettorale e tali da limitare e conformare la discrezionalità legislativa in materia sono moltissime.
E dove si trovano?
Nella Costituzione! La nostra Carta indirizza univocamente verso un sistema che consenta a tutti gli elettori — i quali a loro volta “rappresentano” i concittadini non elettori e persino i residenti non cittadini — di concorrere a determinare, in condizioni di perfetta eguaglianza, i componenti delle assemblee rappresentative. La rappresentanza, conformemente alla norma per cui la sovranità appartiene al (e non solo deriva dal) popolo, va dunque intesa come essenziale principio costitutivo dell’organizzazione statale e non già come “semplice” sistema di investitura di organi che attingono altrove la loro legittimazione, magari in un generico principio di autorità.
Perché dice questo?
Perché si ha viceversa l’impressione, confermata dall’insistente richiamo alla formula della governabilità (priva di ogni serio appiglio nel testo costituzionale), che si ragioni come se il corpo elettorale fosse una sorta di collegio deliberante dal quale si attende l’espressione di una volontà unitaria.
E invece?
All’opposto, il corpo elettorale è un’aggregazione funzionale alla contemporanea espressione delle singole volontà elettorali, che devono trovare coerente riflesso nella composizione della Camera e del Senato. La differenza è decisiva.
Per venire al sistema?
L’ibrido italo-tedesco, per quanto se ne può dire in assenza di un testo consultabile, sembra sottrarsi sia alla logica del proporzionale, sia a quella del maggioritario, poiché antepone il voto di lista rispetto a quello uninominale e, per di più, esclude l’espressione del voto di preferenza, necessariamente implicato dall’articolo 67 della Costituzione.
Un marchingegno, il “tedeschellum”, che incide sulla libertà e sulla parità del voto.
Proprio così, dal momento che per un verso costringe a votare “in blocco” per un listino e, per altro verso, rende recessiva la scelta uninominale rispetto a quella di lista. Su tutto grava, poi, come decisiva compressione dei diritti politici individuali, la soglia di sbarramento.
Che tutti sono d’accordo nel fissare al 5 per cento. Perché comprimerebbe i diritti politici individuali?
Perché i suoi effetti sono profondamente distorsivi, in quanto trasferiscono a vantaggio di alcune formazioni politiche voti indirizzate ad altre: in altre parole, la soglia è un premio di maggioranza dissimulato. È poi da tener presente che le valutazioni probabilistiche sul raggiungimento della soglia — e i sondaggi in questo campo possono avere un’influenza straordinaria —, possono indurre gli elettori a orientarsi diversamente rispetto alle loro genuine convinzioni politiche, con conseguenze che si direbbero distorsive della concorrenza e, in definitiva, contrastanti con l’articolo 3, comma 2 della Costituzione.
Eppure, cosa c’è di meglio delle maggiori forze politiche che si mettono insieme per fare un legge condivisa? Fino all’altro ieri rimproveravamo a Renzi di volere fare tutto da solo, oggi c’è l’accordo. Cosa non va bene?
In primo luogo, mi pare che il consenso sia stato raggiunto, e solo provvisoriamente, al livello dei leader di taluni partiti o movimenti, mentre all’interno di questi sono numerosi e significativi i dissensi, che si sono manifestati anche vivacemente. Ma il consenso non è un bene in sé, specie quando si sia raggiunto su un sistema inteso a tagliare la strada sia alle opinioni interne contrarie, sia alle forze politiche dissenzienti, sia, e sopratutto, alla libera formazione ed espressione della volontà politica dei cittadini.
Come fare?
In un tema così delicato, com’è quello elettorale, che si può certo annoverare tra quelli “materialmente costituzionali”, sarebbe necessario che la formazione del consenso fosse garantita attraverso procedure regolate con o sulla base di legge costituzionale.
Per capirci meglio. Qual è secondo lei il “peccato originale” di questo schema di legge elettorale?
Quello dell’aver trascurato e tenuto fuori campo le norme e i valori costituzionali, che corredano il diritto di voto come strumento di esercizio individuale della sovranità popolare.
Alla fin fine è una proposta di legge che riflette i politici che l’hanno prodotta…
Si tratta di valutazioni che competono ai commentatori politici e non ai costituzionalisti, ai quali spetta invece di indicare le invarianti normative.
Si può ancora salvare il rapporto tra elettore ed eletto e con esso l’investitura democratica in Italia?
Certo che si può ed anzi si deve. Ma la via può essere quella alla quale ho già accennato. Posso aggiungere che in questo momento storico, così complesso e a accidentato, una buona soluzione per rinsanguare la democrazia, per come delineata dalla nostra Costituzione, può essere quella di adottare un sistema proporzionale puro.
Perché un proporzionale puro?
Per avere una ricognizione la più completa possibile degli orientamenti politici che percorrono la collettività e responsabilizzare i grandi mediatori sociali a trovare le ragioni di sintesi e di compatibilizzazione.
Se dovesse giudicare a colpo d’occhio, dal punto di vista del costituzionalista, la lunga transizione dal ’92-93 ad oggi cosa direbbe?
Direi in primo luogo che la dissoluzione della “forma partito” ha alterato le precondizioni del rapporto rappresentativo per come configurato dal Costituente, espungendone le formazioni sociali tipicamente individuate dall’articolo 49. Il che ha portato inevitabilmente all’emersione di una variegata congerie di “notabilati”, che si aggregano intorno a interessi di natura essenzialmente economico-finanziaria, rispetto ai quali le istanze politiche sono piegate in funzione servente, con conseguenze che hanno avuto riflesso anche sul piano della gestione delle relazioni con gli organismi dell’Unione Europea.
Uno sguardo al futuro?
Per affrontare il futuro, che è già oggi, occorre ritrovare nella nostra Costituzione i punti di ancoraggio e le linee guida dell’azione politica, a livello interno ed interstatuale.
(Federico Ferraù)