La prima uscita europea di Matteo Renzi è stata un indubbio successo mediatico. In Italia. Un po’ meno all’estero. Diversi giornali nostrani hanno riportato le critiche di testate straniere – The Economist in prima fila. Molto più serie, a mio avviso, quelle di alti funzionari della Commissione europea che avranno il compito di valutare il nostro Programma nazionale di riforme (Pnr), quando sarà pronto, e soprattutto i provvedimenti annunciati nel cronoprogramma di Governo (vocabolo che in inglese e francese suscita qualche ilarità). Il cronoprogramma è ora alla prova dei fatti. In effetti, da mercoledì 12 marzo, San Luigi Orione (fondatore di un celebre istituto di riabilitazione), quando il sipario si alzerà sul Jobs Act.
Questi eurocrati un po’ maligni prevedono vita tormentata per Matteo Renzi e per i suoi colleghi di governo. Mettono, a torto o ragione, in conto che è sempre in agguato la vecchia nomenclatura di quell’ala del Pd che ha tra i suoi nonni il Pc, i Ds e il Pds. Con il suo duro attacco alla politica economica (peraltro per ora solamente balbettata da Renzi e dai suoi ministri), Stefano Fassina si sarebbe posto alla guida di una vera e propria corrente che aspira a un “ribaltone” piuttosto presto.
Fanno poi notare che sul cronoprogramma l’esecutivo sta facendo marcia indietro, in primo luogo, in materia di nesso tra riforma elettorale e fine del “bicameralismo perfetto”. Sottolineano che le tecnostrutture italiane starebbero già scavando la fossa al Governo, altrimenti l’esecutivo non avrebbe fatto la gaffe sull’impiego di ciò-che-non-stato-utilizzato dei fondi europei per ridurre il cuneo fiscale-contributivo. Non apprezzano affatto le critiche al “buco” che avrebbe lasciato il Governo Letta (con il quale hanno lavorato d’amore e d’accordo) e quelle rivolte agli “avvertimenti doverosi” della Commissione in materia di conti pubblici. In breve, i polli di Renzi sarebbero già litigiosi come i capponi di manzoniana memoria e non si renderebbero conto che se continuano così la malignità degli elettori e il fato “cinico e baro” potrebbero rendere molto breve la loro stagione.
Sono critiche ingenerose che inoltre spesso confondono la sostanza con la forma (le mani in tasca, atteggiamenti un po’ sbruffoni), ma che devono essere ascoltate soprattutto perché vengono dalla stessa area politico-culturale da cui viene Matteo Renzi. Occorre soprattutto delineare possibili alternative di strategia dato che quella di “dire il fatto proprio” all’eurocrazia non pare funzionare. E potrebbe portare a uno scontro con danni per tutti.
In primo luogo, Bruxelles sembra più severa di quanto Renzi si aspettasse perché risolte (bene o male) le crisi della Grecia e di Cipro, l’alto debito italiano sembra essere la determinante potenziale di un contagio (con guai per tutta l’eurozona). Nell’ultimo fascicolo dell’International Journal of Economics and Financial Issues, un saggio di Shean Corbet dell’Università di Dublino lo dice a tutto tondo. È naturale quindi che ci si preoccupi delle coperture (non quantizzate) delle politiche annunciate nel discorso alle Camere di presentazione del programma di Governo.
In secondo luogo, la strategia sinora delineata non ha un rigo sulla riduzione dello stock di debito e sembra avere dimenticato le privatizzazioni (specialmente quelle del “socialismo reale” a livello regionale e municipale). Accantonando, per il momento, le diatribe accademiche sugli studi di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, un lavoro molto fresco di Shiu-Sheng Chen dell’Università di Taiwan conclude che in un arco temporale di due secoli il rapporto tra debito e Pil ha un impatto negativo sull’economia reale nel lungo termine.
Che suggerimenti dare? Recepire i contractual arrangements proposti dalla Germania e delinearne uno per l’Italia imperniato sullo smaltimento accelerato dei debiti della Pubblica amministrazione alle imprese, coperture certe per il Jobs Act e misure per la riduzione dello stock del debito quali quelle illustrate al Cnel oltre un anno e mezzo fa. Ciò potrebbe ridurre il rischio di contagio e potrebbe far sperare di ottenere in cambio una dilazione sul raggiungimento del pareggio di bilancio. E tenendo conto che una crescita pallida dello 0,4% del Pil dell’Italia è prevista non solo dalla Commissione europea ma dai 20 maggiori istituti econometrici del consensus (tutti privati, nessuno italiano).