“Il referendum per abrogare l’Italicum è una possibilità da valutare con grande attenzione e ne voglio discutere insieme a M5S, Sel e Forza Italia”. Lo afferma Stefano Fassina, deputato della minoranza Pd, commentando la proposta avanzata dai parlamentari cinquestelle. “Stiamo pensando a un referendum abrogativo totale dell’Italicum – ha dichiarato ieri Danilo Toninelli dell’M5S -. Ovviamente non vogliamo farlo da soli e potrebbe interessare tutte le forze politiche e della società civile che contestano questo tentativo di accentramento del potere di Renzi”. La proposta ha subito incassato un parere positivo da parte di Forza Italia, con Mara Carfagna che ha sottolineato: “Forse l’unica strada da percorrere oggi è rivolgersi al corpo elettorale”. D’accordo anche Pippo Civati, concorrente di Renzi alle Primarie del Pd, secondo cui “quello che i parlamentari non hanno potuto fare, cioè votare i necessari miglioramenti dell’Italicum, lo potranno fare i cittadini con un bel referendum”.
Onorevole Fassina, siete stati sconfitti. Ora che cosa farete?
Sconfitto è il Parlamento, non la minoranza del Pd. Le giornate di mercoledì e ieri rappresentano una brutta pagina per la democrazia italiana. Noi non abbiamo votato una scelta che riteniamo fondamentalmente sbagliata. Lunedì quando andrà al voto il disegno di legge voteremo no.
Perché vi siete sfaldati?
Perché voi, e dico voi intesi come organi di informazione, fate riferimento a uno schema congressuale che è superato dall’8 dicembre. Fa parte della minoranza chi ha posizioni diverse rispetto al governo e le porta fino in fondo, cioè chi non ha votato Italicum e Jobs Act.
Che cosa ne pensa dell’ipotesi di un referendum contro l’Italicum, lanciata da M5S e riproposta da Sel e Forza Italia?
E’ una possibilità da valutare con grande attenzione e ne voglio discutere con loro.
L’Italicum porta verso il bipartitismo. Perché siete contrari?
Non credo che l’Italicum spinga al bipartitismo. Piuttosto spinge a una sorta di monopartitismo centrista.
Il ballottaggio non comporta la sfida tra due partiti?
Ma è una sfida che è comunque impropria per qualunque sistema, perché il governo è scelto dal Parlamento. In questo modo noi introduciamo un presidenzialismo di fatto senza contrappesi. Il ballottaggio rischia inoltre di essere una sfida dove non si confrontano due opzioni politiche, in quanto il bipartitismo dell’Italicum poggia su minoranze che poi diventano dominanti nelle sedi di rappresentanza.
Renzi ha detto che è disposto a dialogare sulla riforma del Senato. Voi gli credete?
Siamo davanti a ripetute enunciazioni verbali. Se ci fosse stata davvero la volontà si sarebbe dovuta manifestare in modo chiaro con un incontro del governo con i senatori, ma mi pare che questa disponibilità non ci sia stata. La legge di revisione del Senato è largamente impossibile da emendare proprio sui punti fondamentali.
Se l’Italicum è un pericolo per la democrazia, perché rimanete nello stesso partito di Renzi?
Noi diciamo che questa legge elettorale squilibra il sistema democratico e respinge la partecipazione dei cittadini alla democrazia. Avremo già un Senato di nominati, e anche la Camera sarà ampiamente composta in questo modo. Renzi e il Pd che esprime a maggioranza nei palazzi romani non sono l’intero partito. C’è tanto Pd fuori dai palazzi romani che non è rassegnato al Pd di Renzi.
Lei è sicuro che il vostro modello di partito sia ancora il Pd?
Il nostro modello di partito certamente non è il Pd di Renzi che mette la fiducia sulle regole del gioco.
Guardate ancora all’Ulivo, uno schieramento composto da tante forze?
Se per Ulivo intende l’alleanza tra forze diverse, ritengo che si debba guardare al futuro e non provare a riproporre modelli del passato.
Non trova che l’idea di un partito con un leader forte e scalabile attraverso le Primarie sia intrinseca allo stesso Pd?
Sì, ma lo considero un modello sbagliato per quanto riguarda la scelta della segreteria del partito. Mentre le primarie sono fondamentali per la selezione dei candidati delle cariche monocratiche, come la presidenza del consiglio, i governatori di Regione e i sindaci.
Quindi lei non critica Renzi bensì il modello che gli ha permesso di affermarsi?
Ci sono aspetti diversi. Oggi stiamo discutendo una scelta grave che riguarda il rapporto tra esecutivo e parlamento e una forzatura inaccettabile sulle regole del gioco. E’ una questione separata dalla discussione sulla forma partito.
Il renzismo è uno sviluppo naturale dell’idea di Pd di Prodi e Veltroni?
No, non direi proprio. Innanzitutto, in termini di interessi che rappresenta, il Pd di Renzi è sempre più lontano dalle aspirazioni delle persone che lavorano. Nonostante la narrativa populista che ama portare avanti, è sempre più il partito dell’establishment. L’idea di democrazia che incarna il Pd di Renzi è molto lontana dalle posizioni di quanti lo hanno preceduto.
Che cosa è cambiato?
Noi siamo di fronte a una torsione plebiscitaria, che per esempio porta a escludere le parti sociali nell’ottica di una democrazia verticistica. Mentre il Pd che abbiamo fondato ha nel Dna un’idea di democrazia fondata sulla sussidiarietà verticale e orizzontale e sul coinvolgimento dei corpi intermedi.
Che cosa farà alle Regionali questa parte del Pd che non si riconosce in Renzi?
Temo che si possa in qualche misura replicare lo scenario dell’Emilia-Romagna, dove 700mila elettori che avevano scelto il Pd alle elezioni europee di maggio poi in autunno sono rimasti a casa.
(Pietro Vernizzi)