Ha ragione Renzi a correre sulle riforme istituzionali in nome dell’urgenza che il Paese ha di fronte, o hanno ragione i suoi oppositori che ricordano la necessità di una ponderazione per evitare di scambiare un qualunque cambiamento per un reale miglioramento? E più specificatamente, la via intrapresa che mette insieme superamento del bicameralismo perfetto e riforme elettorale è un bene oppure il progetto del governo ci espone al rischio di una deriva autoritaria?
In realtà, come spesso anche quando si discute, la ragione non sta da una parte sola. E forse, provando ad ascoltare gli uni e gli altri, è possibile arrivare ad una soluzione migliore.
Che l’Italia abbia bisogno di profonde innovazioni istituzionali è fuori discussione. Su questo Renzi ha perfettamente ragione: sono troppi anni che se ne parla. Arrivare ad una decisione è importante, tanto più in questo momento in cui la grave crisi economica e sociale crea un malcontento diffuso e una sfiducia generalizzata nei confronti delle istituzioni. È Renzi a vedere bene quando dice che per combattere il populismo, la politica deve dare prova di saper decidere. Si può parlare e discutere. Ma alla fine occorre assumersi le responsabilità della decisione.
Dire questo, però, non significa rifiutare di ascoltare i contributi che possono aiutare ad arrivare a decisioni sagge. Evitando così di commettere errori le cui conseguenze possono essere anche gravi. Ed alcune delle riflessioni proposte dagli oppositori di Renzi mi sembrano rilevanti.
Nella sua proposta, il premier mette in fila la riforma del senato e la riforma elettorale. L’idea di base è quella di migliorare la governabilità. Obiettivo che, pensando all’Italia, una qualsiasi persona ragionevole oggi condivide.
Come si raggiungere questo obiettivo? Riducendo ad una sola la camera legislativa e introducendo una legge elettorale che premia i partiti più grandi. Con il conseguente effetto di ridurre il potere di veto e di ricatto dei piccoli.
Se le cose andranno come si progetta, l’Italia potrebbe pesto trovarsi in una situazione nella quale il partito vincitore delle elezioni avrà il controllo del governo e dell’unica camera elettiva. In questo modo, però, sorgono due problemi.
Il primo riguarda l’assenza nella legislazione italiana di qualsiasi norma che regoli la vita interna ai partiti. Che sono i soggetti deputati a svolgere i due delicatissimi compiti della raccolta del consenso e della determinazione della volontà politica. La questione è tutt’altro che irrilevante. A partire dal fatto che, molto concretamente, in Italia in questo momento due dei tre partiti maggiori costituiscono delle anomalie. Forza Italia è un partito personale che da vent’anni è controllato dal suo fondatore il quale mantiene un potere pressoché assoluto al suo interno. In modo diverso, anche il M5S pone più di un problema: Grillo e Casaleggio tengono in mano il movimento, come dimostra la lunga sequenza di espulsioni d tanti parlamentari avvenute nell’ultimo anno.
Come si può immaginare di concentrare tutto il potere nelle mani dei partiti senza definire, almeno nelle linee generali, le regole di democrazia e di trasparenza interna? Anzi, le liste bloccate fanno sì che il potere di nomina da parte delle oligarchie partitiche nella nuova configurazione sia pressoché totale. Se questa falla non si aggiusta, il processo messo in moto da Renzi rischia di aprire la strada a situazioni difficili poi da controllare. Nelle quali il potere di fatto si concentrerebbe nelle mani dei pochissimi in grado di controllare il partito di maggioranza.
Il secondo problema nasce dalla insufficiente organicità della riforma. Proprio perché si parla di riforme costituzionali è necessario avere uno sguardo sistemico. Si ricordino le riforme federaliste approvate dieci anni fa. Anche allora si fece in fretta, perché si trattava di dare risposta ad una domanda che saliva dall’opinione pubblica. Solo successivamente si scoprì che l’intervento era parziale e disorganico, con tutti i problemi che da ciò sono derivati. Come si fa, ad esempio, a parlare di un senato delle autonomie senza aver chiarito il senso delle autonomie nel nuovo assetto che si vuole creare? E più in generale, è l’intero assetto di check and balances che va ripensato nel momento in cui una riforma come quella proposta viene avanzata.
Entrambi questi problemi possono essere affrontati e risolti senza rinunciare alle riforme annunciate. A condizione che Renzi usi la sua straordinaria energia politica senza dimenticare l’aforisma citato spesso da Alcide De Gasperi, il quale diceva che “un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione”.