Nonostante l’apparente enormità dello scandalo Paradise Papers, nella lotta globale all’evasione fiscale sono stati fatti passi da gigante, grazie agli accordi di scambio automatico di informazioni tra i paesi dell’Ocse. Ci si può aspettare che la quasi totalità dei patrimoni di cittadini europei svelati dai PP siano soggetti a tale scambio automatico. Concretamente, i cosiddetti paradisi fiscali “non cooperativi” di oggi sono limitati a pochi paesi industrializzati, tra cui Dubai, Uruguay e pochi altri. Mai come oggi i capitali non dichiarati di super-ricchi hanno avuto vita difficile presso le banche dei paesi Ocse, mentre al contrario le multinazionali americane ed europee hanno sviluppato strategie di ingegneria fiscale straordinarie per ridurre il tax rate effettivo dei loro profitti internazionali fino al 5% (!), mentre il loro livello ufficiale sarebbe intorno al 30-40%. Un semi-monopolio come Google è tassato vicino allo zero sui profitti internazionali.
Una decina di isolette caraibiche e strutture di trust costituiscono dunque una minaccia del tutto risibile in confronto all’incoscienza con cui Ue e Usa trattengono o attraggono sul proprio territorio aziende e super-ricchi. I più grandi concorrenti delle Bahamas o delle Bermuda si trovano sul territorio Ue o statunitense. Olanda, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Bulgaria e altri paesi Ue offrono oggi strutture fiscali ad hoc per grandi multinazionali e propongono semplici soluzioni per tassare royalties, dividendi di consociate e alcuni redditi ad aliquote vicine a zero. La Svizzera, per citare un nome che viene normalmente fatto in questo casi, è rimasta indietro in questa corsa al suicidio sociale e politico e si sta autolimitando.
Ma lo scandalo più imbarazzante, a una seria analisi politica, è la concorrenza fiscale tra paesi Ue per attirare i ricchi sul modello “resident non-domiciled”, cosi tanto criticato agli inglesi negli scorsi decenni. Italia, Portogallo, Spagna, Malta, Belgio, Grecia sono tra i più aggressivi. L’Italia, con un provvedimento accolto con entusiasmo da gran parte degli schieramenti politici, ha inflitto un altro colpo gravissimo al senso stesso dell’Ue: in estrema sintesi, un residente estero può — sotto condizioni poco restrittive — ottenere una residenza con forfait fiscale di 100mila euro annui su tutti i redditi esteri e su tutto il suo patrimonio. Si può facilmente calcolare il tax rate di un ipotetico grande azionista di società estera che riceve dividendi per milioni, con un patrimonio di qualche miliardo e con l’obiettivo ulteriore di ottimizzare (azzerando il carico fiscale) il passaggio successorio a suo favore o a favore dei figli.
Alcuni paesi europei si sono specializzati nella distruzione sistematica della base imponibile dei profitti delle multinazionali, mentre altri costruiscono le basi per il virtuale annullamento della base imponibile dei più ricchi.
Stando così le cose, si può facilmente rilevare che l’elusione fiscale dei super-ricchi europei non avviene più da anni sulle isole caraibiche, visti i rischi e la pessima immagine che ne potrebbe derivare. Le multinazionali usano scatole offshore per semplificare o razionalizzare i flussi di business o le partecipazioni, ma il tax rate vicino allo zero è garantito per esempio da Olanda, Malta e Irlanda. Nel caso dei privati, oggi conviene sfruttare lo stato di disperazione di alcuni paesi Ue (tra cui l’Italia) che sono nel circolo vizioso fatto di crescita bassa, fuga di patrimoni ed ecosistema poco favorevole all’imprenditoria: un privato residente all’estero può strappare accordi fiscali decennali con tali paesi Ue a condizioni praticamente insuperabili. In tal modo si ottengono molti vantaggi, tra cui la scomparsa dai registri fiscali del mondo intero del proprio patrimonio globale. Perché? Perché non dovendo dichiarare il proprio patrimonio, non esiste più alcuna forma di registrazione coordinata di asset finanziari e non.
La più grande operazione di distruzione permanente di base imponibile, con la benedizione implicita di larga parte della sinistra europea, è attualmente in atto e avrà conseguenze devastanti per la lotta alla diseguaglianza nel continente europeo. Oltre a ciò, paesi come Malta, Bulgaria e Portogallo, per citarne alcuni, offrono permessi di residenza Ue per ricchi extra-comunitari praticamente sulla base di un accordo quasi tax-free (di solito basta acquistare una proprietà). La vendita di passaporti Ue in combinazione con tali forfait fiscali sta esplodendo e — tra i tanti — russi e cinesi ne stanno giustamente approfittando, contribuendo al dumping fiscale su scala globale.
E’ evidente l’intrinseca utilità di una sana concorrenza fiscale tra paesi e, perché no, anche tra regioni, ma il disastro politico dell’Ue ha scatenato una guerra fiscale senza limiti che porterà alla distruzione finale di quel che resta del welfare state europeo. Gran parte di questo disastro va attribuito alla Germania e alle sue strategie politiche nel’Unione Europea. Sul perché, torneremo. Quanto agli Usa, ci sono evidenze che una parte dei patrimoni in fuga dagli ex paradisi fiscali ha trovato protezione proprio lì. Miami, per esempio, è diventata la seconda o terza piazza finanziaria degli Stati Uniti: tutte le principali banche americane e molte estere vi hanno stabilito grandi filiali esclusivamente per assistere capitali sudamericani anche non dichiarati o in fuga da Svizzera e Caraibi. Approfondiremo presto anche questo tema.