Le controversie relative al mondo del lavoro sono tra quelle in grado di scaldare maggiormente gli animi, anche dei non addetti ai lavori. Il motivo è scontato: riguardano tutti. Il ministro del Welfare, Elsa Fornero, dalla pagine de Il Corriere della Sera, ha lambito una serie di temi in grado di infuocare il dibattito: si è detta convinta del fatto che l’abolizione dell’articolo 18 non sia da reputarsi un tabù, ha auspicato l’introduzione di un contratto unico e ipotizzato la possibilità di un salario minimo garantito, specie per i giovani. Il suo predecessore Maurizio Sacconi, in merito a quest’ultima proposta ha paventato la deresponsabilizzazione dei giovani, «bisognosi più di opportunità formative e di esperienze pratiche che di reddito». A partire da questo, abbiamo fatto il punto sui cambiamenti in atto nel Welfare italiano con Guido Gentili.
Crede che l’obiezione di Sacconi sia condivisibile?
In parte lo è. Non possiamo, in questo momento, dare l’impressione ai giovani di voler mettere a punto politiche assistenziali, quando da loro stessi proviene un forte richiesta di selezione rigorosa e di riconoscimento del merito. Hanno voglia di entrare nel mercato a pieno titolo e non intendono galleggiare in una zona grigia, al confine tra l’assenza di reddito e la mancanza di formazione. Non credo, del resto, che ci siano le risorse per un intervento di questo genere. Che presupporrebbe, inoltre, una riforma complessiva del sistema di ammortizzatori sociali. Con dei tagli cospicui a quelli attualmente posti in essere.
Le giovani generazioni sono spesso vittime di contratti precari che non garantiscono loro continuità lavorativa; con l’innalzamento dell’età pensionabile, stabilita sin da subito, rischiano di essere ulteriormente penalizzati. Mentre le misure per la crescita sono state rimandate e con esse l’incentivo all’occupazione.
Alcune misure per la crescita sono state intraprese. Confindustria, l’Abi e Rete imprese avevano chiesto di intervenire sull’Irap e a di sostenere la ricapitalizzazione delle imprese per sei miliardi. Il che è stato fatto. Il tema della crescita, tuttavia, resta all’ordine del giorno. I provvedimenti che la riguardano dovranno essere messi in cantiere non più tardi di gennaio. Per quanto riguarda i problemi determinati, per i giovani, dalla riforma delle pensioni, si potranno risolvere, all’insegna dell’equità, solo nell’ambito di una riforma del mercato del lavoro caratterizzata dall’inclusività.
In tal senso, cosa ne pensa dell’ipotesi di un contratto unico avanzata dal ministro?
Salvaguardando i diritti acquisiti, è una strada praticabile.
La Fornero ha accennato anche all’abolizione dell’articolo 18.
La discussione non rappresenta una novità. È nata a metà degli anni Novanta. E, a differenza di quanto si possa immaginare, in seno alla sinistra. Nel 1997, il primo a proporre un disegno di legge fu il senatore Franco De Benedetti sulla base degli studi del professor Ichino. Sullo stesso tema, il governo D’Alema si scontrò duramente con l’allora segretario della Cgil, Sergio Cofferati. Vi fu in seguito una proposta legislativa, nel 2000, presentata dal senatore Treu. Mentre D’Antona e Biagi, per il solo fatto di averne dibattuto, furono uccisi. Questo per dire che la questione è da tempo all’ordine del giorno e, prima o poi, andrà risolta. Ma affrontarla alza sempre il tasso di conflittualità.Per questo, forse, non è il momento più opportuno per farlo.
Tornando alle pensioni: ci sarà, a regime, nel 2018, un risparmio di 20 miliardi. Rispetto a un debito pubblico di 1.900 miliardi di euro, non trova che sia una cifra irrisoria?
Effettivamente, rispetto all’ammontare complessivo del debito pubblico, non sembra una gran cosa. Ma dobbiamo considerare che, anzitutto, all’estero stavamo dando l’impressione di non essere in grado di uscire dall’impasse, specie nel metter mano alle pensioni di anzianità, che in Europa rappresentano un’anomalia. Inoltre, le misure introdotte si erano rese necessarie per la stabilizzazione del sistema previdenziale. A giugno, poi, sarà effettuata la verifica della sostenibilità, sul lungo periodo, delle casse autonome. Il tutto, contribuisce a tener maggiormente sotto controllo il deficit pubblico. Senza considerare i vincoli determinati dall’ultimo vertice europeo.
Quali?
È stata introdotta una regola in base alla quale i Paesi con debito superiore al 60% del Pil hanno il dovere di ridurlo in media di un ventesimo all’anno. Abbiamo chiesto una rinegoziazione che tenga conto dei fattori rilevanti quali il debito delle famiglie, che in Italia è particolarmente virtuoso. Sta di fatto che, attualmente, si tratterebbe di una manovra di circa 40 miliardi l’anno. Aver sistemato la pensioni, in quest’ottica, si rivela ancor più decisivo.
(Paolo Nessi)