Quando terminerà la crisi finanziaria e quali saranno le conseguenze? Proviamo a ricapitolare e scenarizzare.
Prima fase della crisi. Alla fine del 2006 ed inizio del 2007 arrivarono nel mercato le prime notizie di insolvenze di massa nel settore dei mutui senza garanzia erogati negli Stati Uniti. Molte persone, trovando un accesso facile al credito dal 2001 in poi, decisero di comprare una casa contando sul costo basso dei mutui. Nel 2005 i tassi del dollaro aumentarono, i costi dell’energia e degli alimentari anche. In tale situazione molte famiglie non ce la fecero più e cominciarono a non pagare le rate. Ma intanto i loro contratti di mutuo erano stati impacchettati e venduti dall’erogatore ad altri soggetti finanziari. Così facendo il primo rinunciava a parte del profitto per ogni singolo contratto, ma si liberava dal rischio. Chi comprava tali pacchetti, spesso mescolati e “strutturati” con altri prodotti di finanza derivata, faceva un buon guadagno presunto perché, definito un tot di rischio, acquisiva un potenziale di profitto superiore alle rendite disponibili sul mercato in quel momento. Ma il rischio era stato sottostimato e, peggio, certificato come molto minore dalle agenzie di “rating”. Così, improvvisamente, le società finanziarie che avevano comprato questi pacchetti ad un prezzo scoprirono che i valori sottostanti erano crollati.
Seconda fase. All’inizio del 2007 si stimò che il buco fosse sui 100 miliardi di dollari e che l’impatto sul sistema del credito in termini di restrizione e quindi l’innesco di una recessione finanziaria a sua volta portatrice di una crisi nell’economia reale sarebbero stati di media entità. Invece nell’estate del 2007 successe che le banche non si fidarono più le une delle altre in quanto non era chiaro quante perdite stessero subendo. E non lo si sapeva, perché le banche (tutte) collocavano le operazioni di finanza derivata in società controllate, ma fuori dal bilancio. Tale opacità trasformò una media crisi di insolvenza settoriale in una crisi di fiducia globale caratterizzata dalla restrizione del credito. “Globale” anche sul piano geografico, perché tutti gli istituti finanziari del mondo avevano comprato i pacchetti finanziari compromessi. A luglio nessuno prestava più soldi ad alcuno. Per questo la crisi contagiò anche i prodotti migliori di finanza derivata. Così nell’autunno del 2007 il buco arrivò a circa 400 miliardi di euro e si aprì il rischio di una crisi bancaria generale. Cominciarono i salvataggi più o meno riservati ora ancora in corso.
Scenario. Quando potremo dire terminata la crisi? Probabilmente verso metà anno, quando i bilanci delle banche renderanno trasparenti le perdite. Ci sarà una catastrofe dovuta a fallimenti con la conseguenza di una crisi globale prolungata? Improbabile, perché tutto il sistema – governi e Banche centrali – è impegnato allo stremo per evitarla. Ma ci saranno tre macroconseguenze.
1) Dovrà cambiare il modello di affari delle banche. Dal 1996 al 2006 queste si sono organizzate per fare più profitti con giochi finanziari che con le normali operazioni creditizie. E li hanno fatti. Ciò ha incentivato una finanza sempre più acrobatica con schemi dove il rischio, alla fine, si perdeva di vista. Ora le banche dovranno “accontentarsi” dei profitti delle operazioni normali di credito. Ma queste implicano l’impiego di più capitale per ottenere il profitto. Pertanto nel 2008 le banche, sul piano globale, dovranno ricapitalizzarsi e ridurre l’attesa di profitto. C’è il rischio che ciò porti ad una restrizione del credito. In Italia tale tendenza sarà meno intensa che altrove, perché il nostro sistema bancario non si è mai “finanziarizzato” come altrove ed è rimasto “tradizionale”.
2) Cambierà il potere finanziario globale. Per essere salvate, molte banche internazionali stanno accettando soci “politici”, cioè i fondi sovrani (governativi) cinesi, arabi ecc., carichi di soldi provenienti dal petrolio o dal surplus esportativo. Nel presente tale sviluppo è oscurato dalla stampa e dal “sistema” perché, appunto, la priorità è trovare capitali per i salvataggi. Ma passata l’emergenza il problema scoppierà e sarà di enorme portata.
3) Emergeranno nuove regole. Problemi geopolitici a parte, certamente l’esperienza della crisi renderà necessarie regole più stringenti. Le banche dovranno riportare nei bilanci le attività delle società finanziarie controllate per aumentare la trasparenza e la fiducia. Le società di certificazione e valutazione (rating) dovranno riconquistare credibilità metodologica. Tale riforma delle regole della finanza globale, però, incontrerà due problemi: innanzitutto non esiste un ente di governo globale, ed il coordinamento tra vigilantes nazionali non pare cosa facile; in secondo luogo bisognerà trovare un punto di equilibrio tra regola restrittiva e sopravvivenza delle componenti virtuose della finanza derivata, senza le quali oggi non sarebbe possibile dare il giusto capitale ad investimenti e consumi privati. Ma nessuno sa come fare, e c’è il rischio che si regoli troppo (Europa) o troppo poco (America).
Prima fase della crisi. Alla fine del 2006 ed inizio del 2007 arrivarono nel mercato le prime notizie di insolvenze di massa nel settore dei mutui senza garanzia erogati negli Stati Uniti. Molte persone, trovando un accesso facile al credito dal 2001 in poi, decisero di comprare una casa contando sul costo basso dei mutui. Nel 2005 i tassi del dollaro aumentarono, i costi dell’energia e degli alimentari anche. In tale situazione molte famiglie non ce la fecero più e cominciarono a non pagare le rate. Ma intanto i loro contratti di mutuo erano stati impacchettati e venduti dall’erogatore ad altri soggetti finanziari. Così facendo il primo rinunciava a parte del profitto per ogni singolo contratto, ma si liberava dal rischio. Chi comprava tali pacchetti, spesso mescolati e “strutturati” con altri prodotti di finanza derivata, faceva un buon guadagno presunto perché, definito un tot di rischio, acquisiva un potenziale di profitto superiore alle rendite disponibili sul mercato in quel momento. Ma il rischio era stato sottostimato e, peggio, certificato come molto minore dalle agenzie di “rating”. Così, improvvisamente, le società finanziarie che avevano comprato questi pacchetti ad un prezzo scoprirono che i valori sottostanti erano crollati.
Seconda fase. All’inizio del 2007 si stimò che il buco fosse sui 100 miliardi di dollari e che l’impatto sul sistema del credito in termini di restrizione e quindi l’innesco di una recessione finanziaria a sua volta portatrice di una crisi nell’economia reale sarebbero stati di media entità. Invece nell’estate del 2007 successe che le banche non si fidarono più le une delle altre in quanto non era chiaro quante perdite stessero subendo. E non lo si sapeva, perché le banche (tutte) collocavano le operazioni di finanza derivata in società controllate, ma fuori dal bilancio. Tale opacità trasformò una media crisi di insolvenza settoriale in una crisi di fiducia globale caratterizzata dalla restrizione del credito. “Globale” anche sul piano geografico, perché tutti gli istituti finanziari del mondo avevano comprato i pacchetti finanziari compromessi. A luglio nessuno prestava più soldi ad alcuno. Per questo la crisi contagiò anche i prodotti migliori di finanza derivata. Così nell’autunno del 2007 il buco arrivò a circa 400 miliardi di euro e si aprì il rischio di una crisi bancaria generale. Cominciarono i salvataggi più o meno riservati ora ancora in corso.
Scenario. Quando potremo dire terminata la crisi? Probabilmente verso metà anno, quando i bilanci delle banche renderanno trasparenti le perdite. Ci sarà una catastrofe dovuta a fallimenti con la conseguenza di una crisi globale prolungata? Improbabile, perché tutto il sistema – governi e Banche centrali – è impegnato allo stremo per evitarla. Ma ci saranno tre macroconseguenze.
1) Dovrà cambiare il modello di affari delle banche. Dal 1996 al 2006 queste si sono organizzate per fare più profitti con giochi finanziari che con le normali operazioni creditizie. E li hanno fatti. Ciò ha incentivato una finanza sempre più acrobatica con schemi dove il rischio, alla fine, si perdeva di vista. Ora le banche dovranno “accontentarsi” dei profitti delle operazioni normali di credito. Ma queste implicano l’impiego di più capitale per ottenere il profitto. Pertanto nel 2008 le banche, sul piano globale, dovranno ricapitalizzarsi e ridurre l’attesa di profitto. C’è il rischio che ciò porti ad una restrizione del credito. In Italia tale tendenza sarà meno intensa che altrove, perché il nostro sistema bancario non si è mai “finanziarizzato” come altrove ed è rimasto “tradizionale”.
2) Cambierà il potere finanziario globale. Per essere salvate, molte banche internazionali stanno accettando soci “politici”, cioè i fondi sovrani (governativi) cinesi, arabi ecc., carichi di soldi provenienti dal petrolio o dal surplus esportativo. Nel presente tale sviluppo è oscurato dalla stampa e dal “sistema” perché, appunto, la priorità è trovare capitali per i salvataggi. Ma passata l’emergenza il problema scoppierà e sarà di enorme portata.
3) Emergeranno nuove regole. Problemi geopolitici a parte, certamente l’esperienza della crisi renderà necessarie regole più stringenti. Le banche dovranno riportare nei bilanci le attività delle società finanziarie controllate per aumentare la trasparenza e la fiducia. Le società di certificazione e valutazione (rating) dovranno riconquistare credibilità metodologica. Tale riforma delle regole della finanza globale, però, incontrerà due problemi: innanzitutto non esiste un ente di governo globale, ed il coordinamento tra vigilantes nazionali non pare cosa facile; in secondo luogo bisognerà trovare un punto di equilibrio tra regola restrittiva e sopravvivenza delle componenti virtuose della finanza derivata, senza le quali oggi non sarebbe possibile dare il giusto capitale ad investimenti e consumi privati. Ma nessuno sa come fare, e c’è il rischio che si regoli troppo (Europa) o troppo poco (America).