Le aspettative, in economia, giocano un ruolo importante, perché è in base a esse che si prendono nel presente decisioni che riguardano il futuro. In finanza, per esempio, le aspettative sull’andamento di un settore o sugli utili di un’azienda possono portare alle decisione di acquistare o vendere un titolo in borsa. In economia le aspettative non sono però dei “monoliti”, dipendendo da come le persone percepiscono il proprio futuro, in questo confortate/sconfortate dalla situazione presente. Le aspettative possono poi mettere in moto dei circoli virtuosi/viziosi che generano effetti sull’economia stessa.
Se, per esempio, si avverte di vivere in una condizione di crisi che sembra non passare mai, si è portati a pensare che anche in futuro la situazione sarà critica: acquisti non ritenuti “vitali” o essenziali verranno tendenzialmente rimandati per fare spazio (ove possibile) all’accumulo di risparmio per fare fronte a necessità o drammi futuri, quali la perdita del lavoro, generata magari a sua volta dal fatto che essendo i consumi bloccati un’azienda chiude o si trova a dover ridurre il proprio organico.
Senza dimenticare che la dinamica dei prezzi cui si assiste (sconti, promozioni e ribassi proprio per via della crisi) può portare a posticipare gli acquisti per strappare un prezzo ancora migliore: la strada giusta per incappare nella trappola della deflazione, che ha come conseguenza il riallineamento (verso il basso) dei salari al livello dei prezzi e l’aumento della disoccupazione. Non a caso il Giappone, che come detto ha avuto un picco dei senza lavoro pari al 5,4% nel 2002, prima di rimanere intrappolato nella deflazione (fine anni 90) “viaggiava” ben sotto il 3%.
Ogni riferimento alla situazione in cui ci troviamo è puramente voluto e non casuale. Ed è per questo che chi ha le leve della politica economica (vincolate da Bruxelles) si dovrebbe dare da fare per trovare una misura in grado di rompere questo circolo vizioso (per “cambiare verso” davvero). Anche perché, come detto, le aspettative non essendo dei “monoliti” possono mutare in tempi non molto lunghi (di sicuro più brevi di piani infrastrutturali europei che, grazie a procedure burocratiche, possono impiegare anni solo per avere il “via libera”).
Per certi versi Renzi si stava muovendo nella direzione giusta. Coi vincoli europei che ci sono, forse un minimo di supporto alle imprese (che poi con la tassazione alimentano pure le casse pubbliche) può arrivare da un aumento dei consumi. Anche perché in Italia, checché se ne possa pensare, della liquidità c’è. Il problema è che prende la strada del risparmio (lo ha ricordato anche il recentissimo Rapporto Censis 2014).
L’Istat afferma infatti che “nel 2013 la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici è stata pari al 9,8%, registrando un aumento di 1,4 punti percentuali rispetto all’anno precedente”. L’Indagine sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani, curata da Centro Einaudi e Intesa Sanpaolo, segnala addirittura che nel 2014 il 59% delle famiglie è riuscita a risparmiare e che “tra il 2013 e il 2014, sale dal 16% al 18% la quota di coloro che dichiarano di avere risparmiato senza un’intenzione precisa” (e questo nonostante i tassi di interesse e di rendimento dei titoli di stato siano scesi nell’ultimo periodo).
Certo, non per tutti le cose sono andate e stanno andando in questo modo. C’è chi non ha abbastanza soldi per risparmiare, perché tutto quello che guadagna (o che ha) lo usa per pagare le spese, spesso di prima necessità. Ed è a queste persone che il Governo dovrebbe guardare. Ha provato a farlo con il bonus da 80 euro: l’idea era giusta, ma dato che l’obiettivo era elettorale e non economico la misura non ha (ancora?) funzionato.
L’errore compiuto è evidente: il bonus non va assegnato solamente a chi ha un lavoro dipendente. Pensionati, autonomi e incapienti (e ci fermiamo qui anche se potremmo andare oltre) sono anche loro cittadini che possono far fatica a risparmiare perché a malapena riescono a consumare quanto vorrebbero. Se non ci sono abbastanza soldi per finanziare questa politica, bisogna allora partire dalle fasce di reddito più basse, senza distinzioni tra pensionati, lavoratori autonomi o dipendenti.
Sto forse invocando una politica di sinistra? No, e anche se fosse così sarebbe inutile rivolgersi al Premier, che di sinistra non è (a detta dei suoi stessi compagni di partito): tranne quando si tratta di tasse. In quel caso sì, allora Renzi si ricorda dei suoi illustri “rottamati”compagni del Pd e comincia a mettere balzelli qua e là, magari per finanziare il bonus stesso da 80 euro. Per dare soldi in più a chi ha meno non si deve tassare chi ha di più: occorre tagliare la spesa pubblica che, ce lo direbbe anche un giapponese più indebitato di noi, è troppo alta e sicuramente a causa di sprechi o privilegi per pochi (che a volte si nascondono dietro i “diritti acquisiti” di una generazione a spese della successiva).
Per le stesse ragioni, è inutile (se non a fini di immagine e di voti) proporre un “bonus bebè” per chi partorirà dal 1° gennaio 2015: meglio piuttosto aumentare detrazioni e deduzioni per i figli a carico, anche quelli che hanno avuto la “sfortuna” di nascere nel 2014. Oppure, se proprio vogliamo sostenere le “forze fresche” del Paese, facciamo come proposto da Deaglio un bonus per i giovani, i quali sicuramente farebbero circolare i soldi guadagnati nel circuito dell’economia.
Insomma, ci vuole un Premier che abbia come aspettativa la ripresa del Paese, non la vittoria alle prossime elezioni.
P.S.: Ovviamente sul grande “palco” dell’economia ci sono altri attori e altre azioni importanti. Per esempio, le scelte e le aspettative delle imprese, soprattutto in relazione agli investimenti e alle assunzioni. Per ragioni di spazio si è preferito soprassedere al riguardo, anche se non serve essere laureati alla Bocconi per capire che se non ci si aspettano utili è controproducente investire in macchinari che non si riuscirebbero a ripagare o assumere nuovo personale (anche se è merito di certi professori bocconiani e delle loro manovre “salva-Italia” che il Bel Paese ha cominciato ad avvitarsi nella recessione).
(2- fine)