C’era molta attesa per l’incontro tra il Premier e il Presidente della Camera, dopo mesi di polemiche a distanza e di silenzi. L’abitazione di Gianni Letta è stata la sede scelta per un colloquio di due ore che, secondo le indiscrezioni e le dichiarazioni dei fedelissimi di entrambi i leader, può considerarsi positivo. Ce ne saranno altri, per verificare la tenuta dei primi accordi presi. Marcello Veneziani spiega ai lettori de ilsussidiario.net come cambiano i rapporti di forza nella maggioranza e il quadro politico a seguito del vertice.
L’incontro tra Berlusconi e Fini è stato letto dalla maggioranza dei giornali come un riavvicinamento delle parti, l’inizio di un disgelo anche a livello umano tra i due leader. Dal punto di vista politico si è raggiunto un compromesso?
Il colloquio di ieri è una tappa di un riavvicinamento politico e di un compromesso inevitabile, anche se è altrettanto evidente lo scarto esistente tra i due, che mantengono strategie e soprattutto aspettative differenti.
Fini non fa mistero di essere impaziente per la “successione” e si muove nella prospettiva di un paesaggio politico che non contempla più la figura di Berlusconi. Il premier dal canto suo non ha nessuna intenzione di gettare la spugna prima del tempo.
Circa la strategie politiche anche i ruoli contano: il Presidente della Camera ha un compito istituzionale e arbitrale e tende a spegnere i conflitti, mentre Berlusconi li affronta e a volte li alimenta. Le frizioni sono inevitabili.
Hanno ancora senso ipotesi che vedono Fini pronto a tradire il centro-destra, o quelle che lo vogliono proiettato verso il Quirinale grazie all’appoggio della sinistra?
Sono ipotesi che hanno un fondamento, ma che non hanno nessuno fattibilità. Questo giustifica la prudenza di Fini, che in passato aveva già tentato emancipazioni da Berlusconi: dalla disastrosa esperienza dell’Elefantino con Segni, al rifiuto del pronunciamento del predellino, a cui poi sono sempre seguiti riavvicinamenti e ritorni.
Fini nella sua carriera non ha mai tentato delle svolte, ma si è sempre accodato ad esse. Ai tempi di Alleanza Nazionale seguì una strada politica che aveva già tracciato Tatarella, prima ancora era al seguito di Almirante, oggi invece di Berlusconi. Non credo che sia pronto a fare uno strappo.
Si sta guardando attorno, cercando di avere agibilità politica e interlocutori sull’altro versante, a partire dal centro. Vuole la legittimazione della sinistra, ma il suo gioco finisce più nei paraggi di Casini, che in quelli di D’Alema e Bersani.
Cerca solo legittimazione o è pronto ad alleanze diverse?
Fini si prepara ad almeno due ipotesi: un tracollo di Berlusconi che renda necessaria una transizione, dalla quale non può che trarne giovamento una figura istituzionale di centro-destra che riesca ad avere il consenso o almeno il non dissenso degli altri.
L’altra ipotesi è quella di un ritiro di Berlusconi dalla scena politica che scomponendo totalmente il quadro politico metterebbe in crisi l’assetto bipolare accreditando un soggetto terzo che raccoglierebbe quei soggetti che attualmente hanno posizioni non riconducibili ai due poli. Penso a Casini, Montezemolo… e anche Draghi.
Come cambia la conduzione del Pdl? Vede il rischio di un partito più ingessato e di una consultazione permanente che renda travagliata ogni decisione?
Qualche modifica ci potrà pur essere ed è anche giusto che Berlusconi senta l’ex leader di uno dei partiti fondatori del Pdl, ma non credo che ci saranno delle traumatiche variazioni. Al di là delle posizioni di Fini, che non condivido affatto, penso che sia un riequilibrio utile.
Sicuramente è indebolito il potere del triumvirato (i coordinatori Verdini, La Russa e Bondi), soggetto a questo punto di una tutela aggiuntiva.
Questo chiarimento ricorda episodi analoghi e malauguranti dei precedenti governi Berlusconi, come le richieste di Follini e Casini o le dimissioni di Tremonti volute dallo stesso Fini?
Li ricorda, ma c’è una differenza di fondo: allora era una coalizione di partiti, oggi c’è un chiarimento all’interno di un solo grande partito, con un alleato, Umberto Bossi. In più, c’è anche un margine di consenso molto ampio. Una fronda può anche non impensierire più del dovuto. Credo però che nessuno sia così avventuriero da far cadere un governo soltanto per abbattere il potere di Berlusconi per poi destinarsi a una posizione comunque minoritaria. A calcoli fatti conviene tirare la corda, ma non spezzarla.
Un’altra lamentela di Fini riguardava Il Giornale. Secondo lei Berlusconi potrà davvero dettare la linea a Vittorio Feltri?
Conoscendo Feltri non è pensabile. Di sicuro non si giocherà la sua credibilità di “battitore libero” per assecondare Berlusconi.
Se Fini pensa che il Premier sia il mandante delle inchieste vuol dire che ragiona con la vecchia logica di partito, come se Il Giornale fosse il vecchio Secolo D’Italia. Ci possono essere direttori che sono esecutori di una linea di partito, ma quelli che come Feltri hanno acquisito una credibilità grazie alle vendite e non grazie alle protezioni politiche, non penso siano così masochisti e suicidi da sottomettersi al leader politico, proprietario del giornale.
Se allora l’opposizione interna è per lo meno domata quali sono dall’esterno gli attacchi più pericolosi che attendono il governo?
Alcuni rischi ci sono: dai segnali della Magistratura agli attacchi internazionali. Comunque rimango convinto che l’unico che può abbattere Berlusconi sia egli stesso, perché ha la capacità a volte di esagerare. È il fattore fondamentale di questa coalizione e l’unico in grado di sfasciarla. Il resto sono minacce, da non sottovalutare, ma ci sono tutti i presupposti per continuare a governare.
Il riavvicinamento con il Presidente della Camera porterà, secondo lei, a un compromesso anche sulle posizioni più scomode di Fini (dal biotestamento al voto agli immigrati)? C’è il reale rischio di scontentare il voto cattolico?
Berlusconi sa benissimo che larga parte dell’elettorato è sensibile a questi temi e credo che continuerà a rappresentare questo elettorato, pur tentando la ricucitura con Fini. Sarebbe un suicidio inseguire il Presidente della Camera arrivando a una posizione di mezzo che non decide nulla, o peggio ancora ripiegarsi su queste posizioni, obiettivamente minoritarie nel centro-destra. Berlusconi non potrà discostarsi molto da quei punti fermi che ha segnato e che riguardano l’alleanza con la Lega e il rapporto con il mondo cattolico. Non può inimicarsi tre o quattro interlocutori per assecondare la posizione, peraltro individuale, di Fini.
Come sono i rapporti tra il governo e la Chiesa dopo il caso Boffo e il recente intervento di Bagnasco?
Credo che non sia né nell’interesse della Chiesa né del governo Berlusconi aprire uno scontro o una “vertenza”. A conti fatti la Chiesa, rispetto al passato, ha un interlocutore molto più attento ad alcuni temi chiave. Il “caso Boffo” è stato un incidente, così come lo è stato l’attacco dell’Avvenire al governo. Malgrado questi episodi non penso che convenga ad entrambi cercare interlocutori diversi: Casini per la Chiesa e il mondo laico per Berlusconi.
Cosa si aspetta dall’Udc di Casini? Scioglierà il dubbio sulle alleanze?
Per ora è nel suo interesse non sciogliere questo dubbio e decidere le alleanze caso per caso. È una strategia che ricorda quella craxiana. L’Udc aspetta di giocarsi la partita nell’era post-berlusconiana.
L’opposizione sembra fuori gioco fino a quando il Pd non troverà un nuovo leader. Chi sarà secondo lei? Il centro-sinistra cambierà nei rapporti di forza, nei contenuti e nel tono della disputa politica?
Nel Pd contano le appartenenze. Siamo alla partita tra Pci e minoranza Dc. E quindi è sicuramente favorito Bersani. Cambierà comunque poco nella linea, perché non ci sono grandi margini di manovra. Il Partito democratico è schiacciato nel sandwich tra Berlusconi e Di Pietro. Ora può solo giocare di rimessa, tifare per le contraddizioni interne al centrodestra, e al massimo sperare in Casini.