“Sono d’accordo con Cuperlo quando dice che non vuole essere definito Flintstones se ha posizioni diverse. Perciò stabiliamo che chi non la pensa come la segreteria non appartiene ai Flintstones e chi invece la pensa come la segreteria non è un emulo della Thatcher”. Lo ha detto il segretario del Pd, Matteo Renzi, parlando alla direzione del partito, dove ha poi aggiunto: “Sono due posizioni che hanno la stessa dignità di esistere e si confrontano”. Alla fine l’ordine del giorno messo ai voti dalla direzione del Pd è stato approvato con 130 sì, 11 astenuti e 20 no. Ne abbiamo parlato con Stefano Folli, notista politico del Sole 24 Ore.
Fino a che punto Renzi esce davvero vincitore dalla direzione del Pd?
Mi pare evidente, Renzi è riuscito a fare approvare la sua proposta pur non avendo usato toni oltranzisti. Il segretario ha tenuto un discorso che non era di sfida alla minoranza interna, e quindi quest’ultima avrebbe potuto dimostrare una certa flessibilità. Invece non soltanto la sinistra Pd non ha accolto l’apertura di Renzi, ma si è anche spaccata in due tra chi ha votato no e chi si è astenuto, e così ha combinato un vero pasticcio. La conseguenza è che Renzi ha vinto forse più di quanto lui stesso pensava di fare, mentre la minoranza si è condannata all’irrilevanza.
Le concessioni fatte da Renzi sul tema del lavoro non sono a loro volta in qualche modo una sconfitta?
Sul piano della tattica politica non ci sono dubbi che lunedì Renzi ha vinto. Quale sarà la riforma del lavoro invece lo valuteremo alla fine del passaggio parlamentare. Se la riforma sarà un pasticcio, nel senso che non aiuterà le imprese perché è arzigogolata, allora nel merito sarà stata un’occasione persa. Per ora però dobbiamo constatare che Renzi in direzione ha vinto, senza voler stravincere, ma soprattutto per gli errori della minoranza interna.
Renzi è più simile a Blair o alla Thatcher?
Renzi vuole trasmettere l’immagine di una sinistra che si rinnova. Il premier ha il timore di essere paragonato alla Thatcher, perché se passa questa idea si trova con un grosso problema in quanto il suo consenso elettorale è comunque nell’ambito del centrosinistra. Renzi tende ad allargarsi al centro e al centrodestra, ma non può perdere il centrosinistra. Se diventa la nuova Thatcher, ha perso la sua base elettorale e non è detto che ne troverà una nuova. Quindi il suo obiettivo è essere percepito come un Blair.
Il segretario del Pd è in grado davvero di rinnovare la sinistra?
La difficoltà di Renzi è che Blair è stato eletto dopo che la Thatcher aveva messo in atto una strategia molto pesante per sconfiggere e indebolire i sindacati, mentre Renzi si trova a dover interpretare tutte e due le parti in commedia, quello che batte i sindacato e quello che rinnova la sinistra. Non è facile, tanto più che siamo in una fase di recessione. Come ha detto D’Alema citando Stiglitz, queste riforme non si fanno facilmente quando si è in recessione, mentre è molto più semplice farle quando c’è benessere. Questo fatto rende molto più complicato fare delle riforme significative, proprio in quanto non ci sono le risorse da spendere.
Come vede la nuova geografia dei poteri dopo l’editoriale di de Bortoli sul Corriere?
L’editoriale di de Bortoli non è in grado di ridisegnare la geografia dei poteri. Il fatto è che l’establishment oggi è diviso e tendenzialmente si pone degli interrogativi su Renzi. De Bortoli rifletteva su questi interrogativi, e non esagererei in dietrologie nell’analizzare l’editoriale. Una parte dell’establishment economico si aspetta da Renzi delle cose concrete che non sono ancora avvenute. Le frasi di Della Valle sono state un grave colpo inferto a Renzi, perché quando un industriale noto all’estero dice che bisogna cambiare governo e chiamare il governatore della Banca d’Italia, è naturale che i mercati si spaventino.
(Pietro Vernizzi)