Nel programma economico di Mario Monti per i prossimi cinque anni ci sarebbero la riduzione del cuneo fiscale e l’introduzione della patrimoniale. Nel corso della conferenza stampa di domenica, il presidente del Consiglio ha presentato la sua “agenda per un impegno comune” con due punti cardine: cambiare l’Italia e riformare l’Europa. Sul tema delle tasse, ilsussidiario.net ha intervistato Ugo Arrigo, Professore di Finanza pubblica all’Università Bicocca di Milano.
Cosa ne pensa del programma economico anticipato da Monti?
Nel momento in cui un eventuale nuovo governo Monti si rendesse conto del fatto che i provvedimenti del governo precedente non sono stati sufficienti per rimettere a punto la finanza pubblica, si troverebbe a dover decidere tra una serie di differenti opzioni. Temo però che alla fine sceglierebbe di persistere nell’errore di continuare a inasprire le aliquote fiscali, come ha già fatto l’anno scorso.
Introdurrà davvero la patrimoniale?
L’imposta patrimoniale è la spada di Damocle dell’attuale panorama politico, ma la si potrebbe intendere in due modi diversi. Uno è la patrimoniale stabile nel tempo, a cadenza annuale, con aliquote moderate che Monti ha già introdotto nella legislatura uscente.
In che senso?
L’Imu è già una patrimoniale e rappresenta un prelievo periodico che si basa sul valore dei cespiti immobiliari. La pagano tutti, compresi coloro che hanno soltanto la prima casa, gli anziani che vivono negli ospizi, coloro che si sono comperati a fatica una casa con un mutuo. Quindi non solo è una patrimoniale, ma colpisce anche elementi che non sono patrimonio. Poniamo il caso di una giovane coppia appena sposata che ha fatto un mutuo e ha ottenuto un finanziamento per il 70% del valore della sua abitazione: il mutuo si porta via una fetta consistente del reddito familiare, eppure la coppia paga l’Imu sul 100%, e non sul 30% di patrimonio netto che ha a disposizione.
Anche Bersani ha intenzione di introdurre una patrimoniale. Quali sarebbero le differenze tra il leader del Pd e un eventuale Monti bis?
La vera questione è un’altra, e cioè che l’unica patrimoniale che può dare un certo gettito è quella che coinvolge gli italiani di ceto medio che non hanno gli strumenti per proteggere il loro patrimonio con paraventi fiscali, e quindi hanno abitazioni e proprietà mobiliari e immobiliari che sono palesi. Ma sono anche quelle proprietà su cui ogni anno pagano al fisco tasse elevatissime.
Quindi che senso ha una patrimoniale?
In genere si introducono patrimoniali consistenti per porre rimedio al fatto che per lunghi anni non ha funzionato la tassazione ordinaria. Alla fine della Prima Guerra Mondiale, Giolitti ha proposto una patrimoniale per tassare gli extra-profitti delle imprese che si erano arricchite con le forniture belliche. Una patrimoniale ha quindi senso come sostituto del prelievo periodico sul reddito. Il problema attuale è che gli italiani con dei patrimoni palesi hanno già pagato tasse molto elevate. Quelli che sono sfuggiti sono invece i patrimoni occultati, i cui proprietari prima non hanno pagato le imposte sui redditi, e dopo non pagheranno quelle sul patrimonio. La patrimoniale quindi è un’imposta non solo non equa, ma anche razionalmente impraticabile.
Intanto Berlusconi annuncia che abolirà l’Imu …
Allo stato attuale non è necessario abolire l’Imu, basterebbe riuscire a ritoccarla esentando una dimensione abitativa che è quella necessaria alla famiglia, in proporzione alle sue dimensioni. Su quell’abitazione che serve per quel servizio alle famiglie che tutte normalmente usano, non si dovrebbe pagare l’Imu. Se una persona single è proprietaria di un appartamento da dieci stanze, su otto di queste è giusto che paghi l’Imu. E’ chiaro però che una dimensione minima deve essere esentata. Se una famiglia di tre o quattro persone abita in un bilocale, è evidente che non c’è nessuna capacità contributiva. Basterebbe quindi esentare dal pagamento dell’Imu una parte dell’abitazione proporzionale alla dimensione familiare. Occorrerebbe però mettere in conto la perdita di un certo gettito, da compensare in un’altra maniera.
Pare che La Lega nord sia pronta a un accordo elettorale con il Pdl se quest’ultimo candiderà Tremonti come Premier. Quale sarebbe il programma economico di quest’ultimo?
Dovremmo intenderci su quale dei diversi Tremonti vuole candidare la Lega. C’è il Tremonti professore universitario, che diceva cose ragionevoli e condivisibili, ma che non sono affatto state seguite dal Tremonti ministro. Con Giuseppe Vitaletti pubblicò il libro “Le cento tasse degli italiani”, ma oggi grazie a Tremonti il numero di imposte è triplicato. C’è il Tremonti delle manovre straordinarie nel 2010 e nel 2011, che hanno aumentato la pressione fiscale in tempo di crisi. Ma c’è anche il Tremonti del periodo 2008-2009, che ho apprezzato con la sola eccezione dell’abolizione eccessiva dell’Ici.
Qual è stato il punto della svolta in negativo di Tremonti?
La prima manovra del maggio 2010. Prima di allora aveva tenuto saldi i cordoni della borsa, evitato che il disavanzo pubblico salisse eccessivamente, e quindi il suo comportamento era stato corretto. Questo comportamento corretto però non vale a bilanciare il giudizio negativo che do sul primo Tremonti nel suo primo quinquennio, quello che va dal 2001 al 2006. In questo periodo infatti ha lasciato che la spesa pubblica ritornasse a salire. Sono gli anni in cui avrebbe potuto prendere il bonus legato all’abbattimento del debito pubblico, dovuto alla riduzione dei tassi di interesse pagati dall’Italia, e che invece è andato sprecato.
C’è qualcosa che accomuna i diversi possibili candidati per quanto riguarda la politica economica?
Sì, c’è un aspetto che accomuna tanto Monti quanto Tremonti, tanto Berlusconi quanto Bersani: nessuno di loro ha ancora proposto di ridurre la spesa pubblica. Del resto non sarebbe necessario ridurla tout court, né mi identifico con i fautori dei tagli ai servizi pubblici. Bisogna però ridare la parola agli italiani, garantendo loro la possibilità di spendere per i servizi pubblici in funzione di ciò che questi ultimi restituiscono loro. Il cittadino dovrebbe cioè avere la possibilità di scegliere se consumare più o meno servizi pubblici. Per esempio, chi manda i figli alla scuola pubblica dovrebbe potere domandare servizi aggiuntivi, come dei corsi a pagamento di aggiornamento degli adulti nelle ore pomeridiane e serali. Il settore pubblico dovrebbe cioè darsi da fare per offrire più servizi, inducendo gli italiani a spendere di più in cambio di un ritorno.
(Pietro Vernizzi)