Negli ultimi decenni, il settore dei servizi socio-assistenziali ha subito importanti e significativi mutamenti. Detti cambiamenti interessano non solo un ripensamento, talvolta innovativo, dei soggetti deputati alla produzione e alla gestione dei servizi sul territorio, ma altresì le modalità con cui i medesimi servizi debbono essere erogati ai cittadini. Da un punto di vista legislativo, le suddette modifiche hanno trovato accoglimento nelle c.d. “leggi Bassanini” e relativi decreti legislativi attuativi (cfr. n. 112/98) e, indubbiamente in modo più significativo, nella legge 8 novembre 2000, n. 328 recante “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. Quest’ultima ha introdotto una sorta di rivoluzione copernicana all’interno del nostro sistema di protezione sociale e di welfare state tradizionalmente inteso. La nuova disciplina, tra l’altro, ha disposto in merito:
1. al trasferimento di poteri alle Regioni e agli Enti Locali;
2. all’introduzione del principio di sussidiarietà orizzontale e verticale;
3. alla riforma delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza (ipab);
4. al ruolo del Terzo Settore, della famiglia, delle organizzazioni di auto-mutuo aiuto;
5. alle forme di integrazione e di interazione sul territorio;
6. all’introduzione della carta dei servizi sociali;
7. al sostegno domiciliare per gli anziani non autosufficienti;
8. alle autorizzazioni e all’accreditamento.
Per quanto attiene alle conseguenze più propriamente istituzionali, l’assetto definito dalla legge quadro implica un ripensamento generale e approfondito delle modalità e delle azioni che hanno caratterizzato gli interventi e i servizi sociali in Italia. Ciò, di conseguenza, ha riflessi operativi immediati sui rapporti tra i diversi livelli istituzionali burocratici e tra questi ultimi e gli attori della società civile (terzo settore). Da ciò consegue che le vere partite sul welfare si giocano a livello locale.
Infatti, nell’architettura complessiva del disegno riformatore, un ruolo da protagonisti è riconosciuto ai Comuni, enti territoriali cui spetta la titolarità delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale. In particolare, spetta ai comuni:
A. la programmazione, progettazione e realizzazione del sistema locale dei servizi sociali a rete;
b. l’erogazione dei servizi e delle prestazioni economiche;
c. l’autorizzazione, accreditamento e vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale;
d. la definizione dei parametri di valutazione;
e. la promozione delle risorse della collettività;
f. il coordinamento e l’integrazione degli enti che operano nell’ambito di competenza locale;
g. il controllo e la valutazione della gestione dei servizi;
h. la promozione di forme di consultazione allargata;
i. garantire la partecipazione dei cittadini al controllo della qualità dei servizi.
In questo contesto, il comune, quale entità giuridica ed organizzativa autonoma, impegnato nella gestione ed erogazione, sia direttamente sia attraverso appositi enti strumentali e organizzazioni non profit, dei servizi alla persona, in particolare quelli di natura socio-assistenziale, si è trovato dunque ad assumere maggiori responsabilità.
Il raccordo, funzionale e sostanziale, tra organizzazioni non profit ed enti locali é auspicabile, soprattutto, in virtù delle numerose iniziative che, in questi ultimi anni, sono andate progressivamente strutturandosi nel tessuto sociale, in specie a livello comunale. Numerose e preziose sono, infatti, le forme organizzate di iniziativa privata che rispondono ai bisogni della collettività cittadina/comunale. Queste iniziative non profit sono caratterizzate, come peraltro accade in gran parte dei paesi europei contemporanei, da una crescente ed evidente dimensione produttiva di servizi sociali erogati alla comunità o di beni e servizi come strumento per l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. Inoltre, tali organizzazioni sono definite da un’elevata ed incisiva partecipazione dei diversi gruppi di portatori di interessi, quali volontari, lavoratori, utenti, enti pubblici e privati. Tutti questi elementi fanno sì che le organizzazioni non profit debbono poter trovare nelle istituzioni municipali un interlocutore primario e consapevole delle risorse esistenti in seno alla collettività, così da realizzare pienamente il dettato costituzionale. In questo senso, preme evidenziare quanto stabilito nella legge di riforma della sanità del 1992: “Le organizzazioni non lucrative concorrono, con le istituzioni pubbliche e quelle equiparate, alla realizzazione dei doveri costituzionali di solidarietà, dando attuazione al pluralismo etico-culturale dei servizi alla persona” (art. 1, comam 18, d. lgs. 502/1992 e s.m.i.). In tal senso, molti sono i comuni in cui sono attive e profondamente radicate numerose organizzazioni non profit. Esse operano nell’ambito del settore sociale e collaborano, a vario titolo, con il comune, attraverso rapporti formalizzati (convenzione e/o finanziamento) nell’offerta dei servizi di natura socio-assistenziale. Gli aspetti maggiormente positivi che si possono evidenziare sul terreno della presenza delle organizzazioni non lucrative coordinata con gli enti locali si riferiscono soprattutto ad un clima di collaborazione e di disponibilità, dovuto alla conoscenza reciproca e alla condivisione di intenti fra i diversi attori della rete. Positivo è altresì il giudizio espresso circa il ruolo del comune, in quanto riferimento puntuale per le organizzazioni e in quanto capace di un’attenzione costante ai bisogni espressi sul/dal territorio. Le organizzazioni non profit si propongono quindi come “occhio” privilegiato del comune sul territorio per la raccolta delle indicazioni e dei bisogni dell’utenza in virtù della loro presenza capillare: opportunità da sfruttare soprattutto in sede di programmazione e per la diffusione dell’informazione all’utenza.
Un elemento estremamente positivo risulta essere il lavoro di rete che consente di creare, coordinando i diversi attori, il network stesso e consolidare la diffusione e l’accessibilità ai servizi e alle informazioni relative agli stessi, sia in termini spaziali che temporali. Comune e organizzazioni non profit si pongono come punto di riferimento per le famiglie a cui garantiscono un sostegno positivo sulla base di una conoscenza profonda delle problematiche presenti sul territorio e alla possibilità di garantire una presenza regolare nella conduzione e cura dei singoli casi. L’unione di intenti, l’agire in maniera coordinata e la disponibilità a confrontarsi e coordinarsi rafforza la rete. Questa, a sua volta, se innestata in un territorio tradizionalmente pronto a sostenere iniziative del privato sociale, è in grado di arrecare notevoli benefici all’utenza.
Tutto ciò è, ovviamente, favorito in contesti territoriali in cui gli enti locali destinano importanti risorse finanziarie alla costruzione della rete dei servizi sociali.
Sul tema delle spese sociali, una recente indagine Istat riferita all’anno 2005 (cfr. Il Sole 24 Ore Sanità, 15-21 luglio 2008, p. 11) delinea un quadro dal quale si possono inferire alcuni elementi del sistema di welfare nazionale:
1. le spese che i comuni “riservano” ai servizi di welfare aumentano rispetto al 2004;
2. esiste (ancora) un divario tra le spese effettuate al Nord rispetto a quanto accade al Sud;
3. si registra un incremento nelle spese per la domiciliarizzazione degli interventi e le strutture residenziali
Ancorché in modo sintetico, è possibile trarre alcune considerazioni da quanto sopra esposto. In primis, si conferma la “centralità” dell’azione dei comuni nell’erogazione dei servizi sociali sul territorio. Si consideri che con il termine erogazione non si fa riferimento necessariamente alla diretta gestione degli stessi da parte dei comuni, quanto piuttosto – coerentemente con le previsioni normative che informano la materia – con l’assunzione di responsabilità da parte dei comuni per quei determinati servizi. In questo senso, allora, in uno con quanto indicato sub 3 i comuni spesso fanno affidamento sull’intervento (strutturato) delle organizzazioni non lucrative e delle associazioni di volontariato. Qualche preoccupazione deriva invece dalla confermata diversa ripartizione delle spese per i servizi socio-assistenziali e socio-sanitari che caratterizza i comuni del Nord e del Sud. Al Sud – si legge nella ricerca – non solo le spese per gli interventi sociali sono inferiori, ma si privilegia una linea di intervento centrata sull’azione del singolo “campanile”, mentre gli interventi nelle regioni del Nord e del Centro sono definiti dalla presenza e dall’azione di realtà aggregate, quali i distretti socio-sanitari, gli ambiti ovvero le comunità montane. In questo senso, non possiamo non evidenziare la necessità di proporre formule e strumenti che se, da un lato, riconoscano l’azione virtuosa dei comuni “capaci”, dall’altro, mettano nelle condizioni di agibilità anche i comuni che faticano maggiormente ad assicurare le prestazioni essenziali. Il settore dell’assistenza – a differenza di quanto accade nel comparto della sanità, dove si registra una maggiore presenza di strutture private for profit impegnate nell’erogazione delle prestazioni – storicamente è “popolato” da enti non profit, “collegati” agli enti locali. Laddove i comuni mostrano inefficienze o anche solo impossibilità a prevedere adeguati investimenti nei servizi socio-assistenziali un federalismo equo e solidale dovrebbe poter prevedere interventi e azioni, attraverso i quali:
1. attivare e/o valorizzare il sistema delle organizzazioni non profit presenti sul territorio;
2. sostenere i comuni (meglio se in forma associata) nella definizione di politiche di verifica, monitoraggio e valutazione delle azioni e degli interventi realizzati;
3. prevedere interventi in cui stabilire una necessaria cooperazione / partnership tra istituzioni locali e soggetti non lucrativi, in specie per quanto attiene ai servizi innovativi per quel determinato territorio.
La realizzazione – nel contesto istituzionale e sociale italiano – di un federalismo moderno e socialmente sostenibile passa necessariamente attraverso una efficace implementazione del principio di sussidiarietà orizzontale e attraverso una ridefinizione del ruolo dell’ente locale. Al riguardo, anche in Italia, sia a livello regionale sia a livello municipale, non mancano gli esempi virtuosi.