Sarebbe poco professionale commentare da La Promenade des Anglais di Nizza il vasto numero di misure presentate al termine del Consiglio dei ministri del 12 marzo. In primo luogo, si tratta di un grappolo con misure molto difformi: un atto di indirizzo del Presidente del Consiglio, alcuni disegni di legge, alcuni decreti leggi, schemi di disegni di legge di riforma costituzionale presentati non al Parlamento ma al confronto con le forze politiche prima di essere inviati alle Camere. Non sarebbe neanche appropriato entrare nei dettagli di coperture, effetti e impatti. Lo farò quando, rientrato dall’estero, avrò avuto modo di avere la documentazione, di studiarla e di digerirla.
Tuttavia, la distanza aiuta a trarre alcune conclusioni generali che forse si vedono meno chiaramente a occhio nudo dall’Italia e, soprattutto, dai salotti romani. In primo luogo, visto da pochi chilometri dal confine, “l’effetto Renzi” appare meno pronunciato di quanto la conferenza stampa, corredata da belle slides non sia apparsa in Italia. Per molti italiani, “l’effetto Renzi” pare esserci stato. Se mi si consente un’analogia, è stato un po’ come il pellegrinaggio del Primo ministro giapponese Shinzo Abe al Tempio di Yasukuni: una presentazione ben studiata per risvegliare amor proprio e orgoglio dei cittadini e, quindi, far scattare la molla per nuova lena nella produttività, nei consumi, negli investimenti, nell’innovazione. È una strategia che comporta rischi. Renzi ha dato prova di essere consapevole e di dire “addio alla politica” se non coglierà il bersaglio. E se tra qualche mese (le elezioni europee incombono) i risultati saranno inferiori alle aspettative, soprattutto in termini di consenso elettorale e di coesione interna del Pd.
In secondo luogo, l’Europa pare rimasta nel sottofondo. Evocata da Renzi, ricordata per gli impegni che comporta dal ministro dell’Economia e delle Finanze Padoan, nessuno ha fatto riferimento ai veri timori di Bruxelles. Troneggiavano sulla “spalla” di prima pagina del New York Times del 12 marzo (e in un lungo servizio nelle pagine interne): l’Italia sarebbe il vero anello debole dell’unione monetaria – quello da cui potrebbe partire il contagio al resto dell’unione monetaria. È argomento anche di un ricco documento della Banca centrale spagnola (il Working Paper N0. 1320) di cui nessun organo di stampa del nostro Paese ha inteso dare notizia.
D’altronde, la settimana precedente in Italia, ma non nel resto dell’eurozona, si è applicato un rigoroso “silenzio stampa” nei confronti del lavoro di William Dodwell, uno dei più stimati specialisti di mercati dei capitali, sullo stesso argomento. In effetti, non è affatto chiara quale strategia verrà adottata in materia di riduzione del rapporto tra stock di debito pubblico e Pil, in una fase in cui grandi banche italiane sono costrette a considerare “inesigibili” parte dei titoli nei loro portafogli (Unicredit lo ha dichiarato senza mezzi termini).
Ci si sarebbe aspettati anche un’indicazione, ove non una vera e propria presa di posizione, nei confronti del documento New Pact for Europe, appena presentato da un “gruppo di riflessione” sostenuto dalla maggiori fondazioni “europeiste”, dalla Bertelsmann Stiftung all’Istituto Affari Internazionali, dall’European Policy Centre al Center for European Strategy, da Europanova al Political Capital Institute – e via discorrendo. Il documento traccia cinque alternative: dal ritorno al “disegno dei padri fondatori” a ripensare interamente la costruzione europea.
Le misure enunciate in conferenza stampa non sembrano tenere conto di questo contesto (in rapido movimento). Dallo Stato che si appresta ad assumere la Presidenza del “semestre europeo” sarebbe stato legittimo aspettarsi un’indicazione.