“L’uscita di Matteo Renzi che declama contro le correnti serve solo a distrarre l’attenzione dal fatto che i suoi uomini, i suoi punti di riferimento, preferibilmente i suoi amici tendono a avere posizioni di potere in tutti i gangli vitali dell’Italia. La macchina di potere renziana ha occupato quasi interamente lo Stato in un modo che non ha precedenti nella storia repubblicana”. Lo rimarca con Peppino Caldarola, ex direttore dell’Unità ed ex parlamentare dei Ds. Ieri Renzi ha tenuto un lungo discorso alla direzione del Pd, affrontando tra l’altro questioni come il referendum costituzionale, la flessibilità, le banche e la Brexit. In particolare il segretario ha sottolineato: “Finché lo guido io, le correnti non torneranno a guidare il partito”.
Che cosa la colpisce di più di questo discorso di Renzi?
Direi che sono due. Renzi non è in grado di fare un’analisi sul Paese, perché continua a rappresentarlo come diviso tra quelli che vogliono la sua riforma istituzionale e quelli che non la vogliono, mentre in Italia si agitano dei problemi sociali di dimensioni gigantesche. Inoltre non ha neppure un’analisi sul quadro politico, perché continua a credere che il centrodestra sia in un angolo e non immagina che possa riprendersi, nonché è convinto che M5s abbia i giorni contati.
C’è stata almeno in parte l’ammissione che la rotta va cambiata?
No, Renzi ha deciso di andare avanti per la sua strada chiedendo per sé tutti i meriti e indicando nei suoi oppositori quelli che gli impediscono di fare ancora meglio. E’ un modo di fare un po’ folle, che sta preparando una sconfitta clamorosa del Pd.
Perché Renzi tira diritto con tanta sicurezza?
Secondo un sondaggio pubblicato dall’Unità, il 46 per cento degli elettori Pd hanno molta fiducia in Renzi. Questo fa pensare al premier di avere il vento in poppa, ma io non credo che le cose stiano in questi termini. Questi sondaggi infatti nascondono il fatto che l’elettore del Pd, e soprattutto il militante, non si augura il tracollo del governo. Nella sconfitta del governo l’elettore del Pd vede infatti il fallimento di un’esperienza politica che riguarda tutti. Quanti nel Pd si augurano che il premier cada al prossimo incidente parlamentare non sono quindi in sintonia con la base profonda del partito.
Che cosa ne pensa della polemica sulle correnti?
La polemica sulle correnti è francamente ridicola. Ci sono più correnti renziane, ma soprattutto il premier ha creato una macchina di potere che con queste dimensioni e con questa rigidità non c’era mai stata nella storia repubblicana. La macchina di potere renziana ha occupato quasi interamente lo Stato in un modo che non ha precedenti nella storia della Prima e della Seconda Repubblica.
Che cosa vuole Renzi?
Renzi è il classico “politico-politicante”, non ha alcuna visione della società e non sa che cosa accadrà dopodomani. Anzi non lo vuole sapere, e alle sue spalle non ha suggeritori che abbiano in mente questa visione. In questo senso Renzi è il primo leader della sinistra a essere totalmente privo di visione. In secondo luogo Renzi non ha contenuti sociali veri, in quanto continua a riproporre la politica degli 80 euro. Non c’è nulla invece che riguardi il rilancio dell’economia reale, qui siamo di fronte soltanto a “predicazioni”.
Che cosa dovrebbe fare la minoranza Pd?
La minoranza Pd deve proporre un rinnovamento dell’idea socialdemocratica europea. Ciò implica anche il fatto di porre al centro dell’iniziativa del partito il tema dei contenuti sociali della battaglia. Per esempio la minoranza Pd dovrebbe dire che cosa ritiene prioritario nella prossima finanziaria, mentre D’Alema si illude che tutto si possa concentrare attorno alla spallata del referendum. Sarebbe inoltre nell’interesse del Paese convincere Renzi a fare una legge elettorale diversa da questa che è indecente.
La sconfitta alle comunali è ancora fresca. Renzi può archiviarla così?
Non esiste proprio. Renzi ha detto anche che si è perso perché non si è rinnovato abbastanza, e questa è una dichiarazione che grida vendetta. La verità è che l’unica vittoria che Renzi può vantare è quella di Beppe Sala a Milano, con un candidato scelto da lui ma con una strategia che era l’opposto della sua. A Milano infatti il Pd ha puntato sull’alleanza a sinistra non solo con Pisapia ma anche con altre forze “radicali”. E’ stata quindi sconfitta l’idea del partito a vocazione maggioritaria.
E a Torino e Roma?
A Torino non si è perso perché Fassino è vecchio, ma perché al ballottaggio c’è stata una confluenza degli elettori di destra sul candidato di M5s. Quella di Roma invece è stata una sconfitta annunciata. Come si vede anche dalla continuazione degli scandali giudiziari, il commissariamento di Roma attraverso il plenipotenziario di Renzi, Matteo Orfini, non ha scavato fino in fondo per risolvere i problemi.
(Pietro Vernizzi)