“Liberi e uguali”, la “nuova proposta” offerta alla sinistra italiana — ma non solo a quella, volendo questa proposta parlare ai cattolici, al civismo e al centro democratico — con Grasso a guidarla ha contribuito immediatamente a fare chiarezza nel campo del centrosinistra. Pisapia ha gettato la spugna, per sua stessa ammissione prendendo atto che con il Pd di Renzi non è possibile un confronto che, pur non chiedendo un passo indietro del segretario dem, lo sposti dalle sue politiche.
Politiche tutte calibrate sull’Italia “che ce la fa”, proposta a modello, anche innervosente, alla tanta Italia che non ce la fa, e non per colpa propria. Scoprendo così a sinistra il Pd, e frustrando gli sforzi a metter su una coalizione affidati a Fassino. Perché per induzione anche Alfano ha gettato la spugna. Una cosa che paradossalmente a Renzi può persino convenire, perché una coalizione ridotta a Renzi e Alfano, con una spruzzata di radicali, avrebbe ancora di più connotato lo strabismo verso il centrodestra moderato del progetto renziano, in un momento in cui con qualche iniziativa sul tema dei diritti in extremis il segretario del Pd prova a coprirsi, almeno ideologicamente, a sinistra.
Ma il punto più rilevante, quanto al vicolo cieco in cui si è infilato il Pd, non è nemmeno questo. È piuttosto che, con Grasso, dei due “sentimenti” — che De Rita ha scansionato sociologicamente — che in questo momento attraversano un Paese in difficoltà, dove ognuno si sente affidato o abbandonato a se stesso, e cioè risentimento (intercettato dai populismi, da Grillo a Salvini) e nostalgia, la sinistra si è tirata fuori dal campo del risentimento (anche sotto il profilo del risentimento ideologico-personale anti-Renzi) e si è posizionata sulla “nostalgia”. Sul bisogno rinato, cioè — dopo l’ubriacatura del partito personale, dell’uomo solo al comando che non ha portato a niente — di una politica sobria, “come una volta”; esercitata con autorevolezza certo, per le storie personali impegnate, ma in nome collettivo.
Se si aggiunge al quadro l’eterogenesi dei fini di una legge elettorale pensata per stringere in un angolo la sinistra e limitare in seggi il risultato elettorale dei 5 Stelle, e che ha finito per dare la proiezione di prima coalizione al centrodestra e di primo partito ai grillini, è piuttosto prevedibile nei prossimi mesi un ulteriore smottamento, già registrato nei sondaggi, del Pd, perché il voto moderato che si è appoggiato a Renzi è molto probabile che in funzione di voto utile antigrillino rifluisca su Berlusconi e sul centrodestra insieme al ceto politico ex alfaniano che sta tornando ad Arcore, e contro Grasso sarà difficile invocare il risentimento e la vocazione minoritaria della sinistra.
Insomma è probabile che il Pd fatichi a tenersi sopra il 20 per cento probabilmente nei voti e sicuramente nel numero dei collegi, per il meccanismo maggioritario improvvidamente innescato senza copertura a sinistra. Il paradosso è che alla fine solo un risultato pieno, a due cifre, della nuova proposta di Grasso potrebbe riaprire la partita per Palazzo Chigi, sottraendo il baricentro della soluzione al centrodestra. Attorno, ovviamente, a una personalità capace di garantire non solo il disgelo a sinistra, ma una sufficiente coesione parlamentare per non tornare al voto. Insomma, gira e volta, il Pd, per non diventare la ruota di scorta o il bacino di pesca dei prossimi responsabili di un governo di centrodestra, ha bisogno di un buon risultato di Grasso. Il Pd ovviamente, non l’attuale suo gruppo dirigente.