Ieri gli indici finanziari “italiani” hanno virato decisamente al bello alla fine di una mattinata che sembrava preludere a una giornata interlocutoria dopo i rialzi degli ultimi giorni. Indice azionario, spread, rendimento del decennale ieri hanno segnalato un cambio di umore, in positivo, sull’Italia. La ragione di questo cambio d’umore non è difficile da rintracciare; ieri mattina le dimissioni del portavoce di Fillon hanno scatenato le fantasie del mercato che ha intravisto il ritiro dalla corsa per la presidenza del candidato dei repubblicani francesi. In caso di ritiro di Fillon lo scenario politico francese cambierebbe radicalmente. La possibilità che Macron, il candidato dell’”establishment europeista”, passi al secondo turno diventerebbe una certezza, mentre se Juppè rientrasse in corsa, secondo i sondaggi, Marine Le Pen sarebbe addirittura in terza posizione rischiando un’impensabile esclusione dal secondo turno. Questo è “bastato” perché i mercati decidessero che il rischio di una vittoria delle Le Pen a maggio, un incubo per i “mercati”, fosse rientrato.
Esattamente come settimana scorsa i timori sulle prossime tornate elettorali in Europa avevano lasciato il mercato italiano in balia dei ribassi, negli ultimi giorni la riscossa di Macron e i guai giudiziari dei suoi avversari hanno fatto oscillare il pendolo dalla parte opposta. Una tale attenzione per gli appuntamenti dei prossimi mesi non è un segnale di grande ottimismo sulla forza dell’Europa. Il solo fatto che si prenda seriamente in considerazione la possibilità che l’euro abbia i mesi contati è indicativo di quale sia la percezione dei mercati: le contraddizioni all’interno dell’area euro sono evidenti, la differenza degli andamenti economici tra Paesi enormi e le ricetta con cui l’Europa ha provato a curare i suoi mali fallimentari.
Le dichiarazioni del prossimo ambasciatore americano in Europa in questo senso sono emblematiche e dipingono un’istituzione in cui qualcuno si trova molto bene e qualcuno molto male. Le recenti ipotesi di un’Europa a due velocità di Juncker confermate dai ministri degli esteri di Francia e Germania non aiutano la causa italiana. Da un lato danno la fortissima impressione che in Europa qualcuno, la Francia e la Germania, abbia il potere di dare le carte, e di poter decidere in autonomia cosa fare dell’Europa e quando. L’Europa va alla velocità, inizia o finisce quando conviene, ovviamente, a chi dà le carte; in questo gioco le regole cambiano a seconda delle convenienze e per chi non decide questo è ovviamente tragico.
Non solo, chi non decide si trova sotto l’arma di ricatto costante di vedersi staccare la spina proprio quando ce ne sarebbe più bisogno. È il caso dell’Italia che oggi si trova in una situazione oggettivamente complicata per aver subito due recessioni drammatiche; la prima, quella del 2008, in comune con il resto del mondo, la seconda quella del 2011 imposta dall’Europa ed eseguita da un suo vicerè e risultata in meno crescita e più debito. In questa situazione l’Italia si trova di fatto sotto una minaccia costante in cui diventa sempre più dipendente dall’Europa. La minaccia si applica con una asimmetria palese sia quando si tratta di politica industriale, o di regole bancarie, sia quando si tratta di rispetto delle regole europee perché la Germania non viene punita con lo spread a 500 e con crisi di fiducia per il suo avanzo e sul deficit della Francia si chiudono due occhi mentre lo Stato francese continua a essere azionista di riferimento di innumerevoli società industriali; per esempio, della Peugeot che comprerà Opel salvando posti di lavoro francesi.
Oggi l’Italia quindi non ha altra scelta se non quella di accontentare l’Europa senza potere alzare la voce né quando si tratta di difendere le imprese, né sulle politiche migratorie, né sulle scelte militari, né infine sulle scelte economiche che vengono prese in Europa. Se l’Europa esiste nella misura in cui serve gli interessi della Germania in prima battuta e della Francia in seconda, allora prima o poi quando l’interesse cessa perché i competitori non esistono più finirà anche lei.
L’elemento che non quadra in questa equazione è che l’Europa che non fa niente per cambiare e che non ha meglio da offrire che le minacce di una Europa a più velocità è la stessa in cui partiti “populisti” e anti-euro diventano seri candidati alla vittoria. Non in Grecia, che non può decidere, o in Italia, dove i partiti anti-euro in pratica non esistono, ma in Olanda e, persino, in Francia. Se tutto va bene in questa Europa bisognerebbe chiedersi il perché di questi fenomeni. Macron potrebbe anche vincere, ma a quel punto non si capisce cosa dovrebbe cambiare per gli elettori francesi se venisse riproposta la stessa filosofia.
In Italia di tutto questo non si parla e nessuno si chiede cosa stia succedendo sui mercati e in Europa e, soprattutto, cosa convenga all’Italia e a quali condizioni. Qualcuno nel frattempo deciderà per noi. L’ultima volta, nel 2012, non ci è andata benissimo.