Finalmente una circolare del ministero dell’Economia che con sano pragmatismo e senso logico dispensa i contribuenti da adempimenti tanto formali quanto inutili. Sarei curioso di sapere se altrettanta benevolenza avrebbe trovato asilo qualora l’adempimento in questione avesse prodotto i suoi effetti nei confronti della Agenzia delle Entrate e non – come nel caso in esame – dei comuni, ma per adesso limitiamoci a cogliere l’indiscutibile conseguenza positiva: salvo sporadiche eccezioni, i contribuenti non saranno chiamati a presentare entro il prossimo 30 giugno la dichiarazione per la Tasi.
Quanto sopra infatti è chiarito nella circolare del Dipartimento delle Finanze n. 2/DF dello scorso 3 giugno che, riprendendo quanto in parte anticipato con una precedente risoluzione ministeriale, esprime di fatto il concetto che, laddove i comuni siano stati già destinatari di comunicazioni inerenti l’indicazione del soggetto che possiede un immobile (per proprietà o altro diritto reale di godimento ovvero ad altro titolo, ad esempio locazione), non possono richiedere la presentazione della dichiarazione ai fini dell’accertamento della Tassa sui servizi indivisibili.
In particolare, il Ministero specifica che, nel caso in cui si renda necessaria la presentazione di detta dichiarazione, sarà possibile utilizzare direttamente il modello per la dichiarazione Imu, posto che le informazioni utili per l’attività di accertamento per l’una e l’altra imposta risultano sostanzialmente identiche. Non solo, la scelta di semplificazione risulta esplicitamente dettata anche dal fatto che, essendo in programma una modifica del sistema di tassazione locale sugli immobili, verrebbe meno la necessità di emanare un nuovo modello di dichiarazione; il che fa dubitare sul fatto che analoga decisione (ancorché logica) sarebbe stata assunta in assenza di tale presupposto.
Sul piano sostanziale, comunque, non si può che essere d’accordo sugli ulteriori chiarimenti esposti. In particolare il Ministero, ricorda che per la Tasi, qualora l’immobile sia occupato da soggetto diverso dal titolare del diritto reale, l’obbligazione tributaria ricade anche sull’occupante, il quale, non essendo tenuto alla presentazione della dichiarazione ai fini Imu, sarebbe, in linea di principio, obbligato a presentare una dichiarazione Tasi.
Ma – precisa il Ministro -, qualora il contratto di locazione sia stato registrato a partire dal 1 luglio 2000, non dev’esser presentata la dichiarazione, posto che i relativi dati catastali sono stati già comunicati alla Agenzia delle Entrate al momento della registrazione stessa. E ancora, anche nel caso di contratti registrati in data antecedente, la dichiarazione non deve essere presentata qualora tali dati siano stati comunicati al momento della cessione, risoluzione o proroga del contratto.
Analogo comportamento dev’essere seguito qualora il comune abbia richiesto, ai fini dell’applicazione dell’aliquota ridotta, l’assolvimento di adempimenti formali che, di fatto, rendono possibile da parte del comune l’attività accertativa.
Inoltre, il Ministero sottolinea che il comune può comunque trarre gli elementi informativi utili anche dagli adempimenti connessi ad altri tributi (si pensi alla tassa rifiuti) come anche dalla circostanza che i possessori degli immobili sono obbligati a versare il 90% della Tasi qualora l’immobile risulti essere occupato da altro soggetto e non sia stato fissato l’onere tributario a carico di quest’ultimo e sino al 70% dell’imposta nel caso in cui sia invece fissata la misura della tributo in capo al medesimo.
In altri termini, si sottolinea come nel momento stesso in cui su un dato immobile la Tasi sia versata nell’ammontare del 90% (o sino al 70%) dal soggetto titolare di diritto reale sul medesimo, il comune può trarre la logica conclusione che la differenza possa essere in capo ad altro soggetto occupante l’immobile ed esercitare conseguentemente la propria potestà accertativa.
Per quanto riguarda poi il “come” procedere alla compilazione della dichiarazione da parte dell’occupante, con buona pace dei burocrati di professione, il Ministero invita a utilizzare la parte del modello riservata alle “annotazioni” per specificare nella stessa il titolo per il quale l’immobile è occupato.
È chiaro che tale condivisibile presa di posizione del Ministero possa creare qualche problema ai comuni che, pur di facilitare la propria attività di verifica anche adottando propri schemi di dichiarazione, intendevano scaricare ancora una volta sul contribuente le proprie inefficienze. Questa volta però sarà necessario che questi si organizzino, anche perché nel stretto rapporto che esiste tra contribuente e amministratore locale ben difficilmente verrebbe tollerata un’ondata di cartelle pazze originate dall’incapacità di gestire la attività di acquisizione dei dati immobiliari e di accertamento.
Peccato, infine, che l’impulso ministeriale semplificativo non si sia registrato anche nel momento in cui si sono determinate le regole di computo e di versamento di Imu e Tasi. Tali differenze, infatti, già insite nelle diversa natura dei due tributi, sono acutizzate dal fatto che ogni comune ha avuto la possibilità di “personalizzare” importi e metodi di calcolo, mettendo in grossa difficoltà i contribuenti che, impegnati in questi giorni a calcolare l’acconto da versare entro il prossimo 16 giugno, scoprono, ad esempio, che aver imparato a memoria la delibera del comune in cui hanno l’abitazione principale non li esonera da dover studiare anche quella del comune in cui hanno preso in affitto l’ufficio, ovvero in cui hanno la casa ereditata dalla nonna, piuttosto che quella del comune in cui hanno avuto la malsana idea di acquistare un monovano per le vacanze.