La crisi finanziaria ha riaperto il dibattito sul ruolo dello Stato nell’economia, sul capitalismo e sul libero mercato prestando il fianco a chi continua a invocare il ritorno dello Stato nell’economia.
Quello che in realtà emerge da una puntuale analisi delle cause della crisi sistemica che ha colpito l’economia mondiale è che questa è stata favorita da eccessi anarchici in settori specifici del mercato e dall’assenza di un’efficace regolamentazione; in altre parole da responsabilità negative degli Stati.
E per permettere all’economia mondiale di intraprendere il sentiero della crescita, se da un lato è indispensabile guardare al passato per comprendere le falle regolamentari che hanno permesso di generare una bolla di ricchezza virtuale, dall’altro, occorrerà evitare di cedere alla tentazione di un ritorno dello Stato banchiere e imprenditore.
L’Europa in generale e il nostro Paese in particolare, per competere in un mondo globale devono migliorare continuamente la produttività attraverso gli incentivi giusti creati dall’intervento pubblico. Un intervento pubblico che deve favorire l’iniziativa privata la quale si sviluppa con la ricerca, con gli incentivi a investire nel capitale umano e in una migliore qualità delle strutture organizzative e ambientali. E per ovviare alle responsabilità negative degli Stati, questi devono impegnarsi a correggere una regolamentazione inefficace disegnando un sistema di regole per i mercati e per il sistema finanziario concordato e rispettato da tutti.
Di fronte alle potenzialità di un mercato globale che limita gli egoismi nazionali, ma che allo stesso tempo rende vulnerabili tutti i Paesi del pianeta in presenza di crisi sistemiche, non possono coesistere innumerevoli istanze di regolamentazione, ma una regolamentazione internazionale omogenea e allo stesso tempo rigorosa in modo da impedire che sia disattesa da sollecitazioni ideologiche.
Iniziamo una nuova era e siamo chiamati a progettare il capitalismo del futuro consapevoli di avere di fronte una grande opportunità: quella di trarre vantaggio dal fatto che la conoscenza non è una risorsa scarsa e possiamo sfruttare questa circostanza per generare nuove idee, aggregare conoscenze e competenze le cui interazioni generano sviluppo attraverso l’innovazione. Ma siamo anche consapevoli che l’economia della conoscenza cresce a ritmi talmente rapidi che richiede agli Stati e alle economie complesse, infrastrutture sofisticate e sistemi avanzati che permettano di sincronizzare l’economia alle Istituzioni.
Chi non si adatta perderà terreno nei confronti di quei Paesi che, liberi da freni ideologici e da rendite di posizione, hanno compreso che lo sviluppo dell’economia passa per un ridimensionamento delle gerarchie organizzative a favore di modelli a rete e altri modelli e strategie organizzative in grado di creare e aggregare conoscenze e competenze.
Allo stesso tempo i Governi sono chiamati ad adottare soluzioni urgenti che permettano di uscire da una situazione di stallo che ha ingessato l’intera economia reale e che rischia di impoverirci tutti. In un recente articolo apparso su Il Corriere della Sera, tratto dalla rivista Italianieuropei, il Ministro Tremonti ha sottolineato che la missione politica deve essere quella di salvare il possibile separando il bene dal male. In particolare, il titolare del MEF sostiene che la missione ineludibile è quella di «salvare le famiglie, le industrie, la parte delle banche autenticamente funzionale per lo sviluppo. Separare il resto, immettendolo in veicoli ad hoc, stabilire una moratoria di tassi e di tempi, sterilizzare i relativi valori nei bilanci».
Condivido assolutamente la posizione di principio. L’auspicio è che la cosiddetta “bad bank”, il cui disavanzo patrimoniale sarebbe determinato da attivi composti dai “titoli tossici” e da passivi composti da debiti a essi correlati, non gravi sui contribuenti e sul debito pubblico, ma sia alimentato e coperto da chi in questi anni ha beneficiato dei profitti virtuali e che ancora oggi non è disposto a rinunciare ai dividendi. Ci sono infatti pochi margini di manovra sul deficit di bilancio anche perché, a differenza degli altri Paesi europei, un eccessivo sforamento dei limiti di Maastricht (3%) inciderebbe su un debito pubblico già poco sostenibile.
Quelle poche risorse disponibili devono essere destinate a sostenere le imprese e le famiglie che, a causa di una contrazione della domanda di beni e servizi senza precedenti, rischiano di vedere compromesso il presupposto della continuità aziendale e subiscono la perdita del posto di lavoro.
Qualcosa in tal senso è stato fatto e parte delle risorse sono state destinate verso forme di incentivo all’acquisto di beni al fine di sostenere i consumi che però, in quanto tali, sono prive della capacità di migliorare le aspettative di reddito e conferiscono quindi benefici limitati nel tempo e circoscritti ad alcuni comparti.
Sarebbe opportuno un ulteriore sforzo volto a incentivare il trasferimento del risparmio privato nella capitalizzazione delle Pmi con piani di sviluppo meritevoli, in un mercato dei capitali efficiente e la cui trasparenza sia tale da rassicurare gli investitori.
Il quadro si potrebbe ben completare dando finalmente attuazione alla cosiddetta finanza di distretto che permetterebbe alle piccole imprese di realizzare la massa critica necessaria ad accedere al mercato dei capitali. Molti distretti e metadistretti produttivi, essenziali allo sviluppo del Paese, soffrono l’attuale situazione economica e rischiano di vedere compromessa la propria capacità di produrre ricchezza pur in presenza di spiriti imprenditoriali sani e ben disposti al cambiamento.
Se le “banche autenticamente funzionali allo sviluppo”, le associazioni, le istituzioni e le imprese riuscissero a concentrare i propri sforzi, a fare sistema dando centralità alla persona, sicuramente potremmo essere in grado di dire che la via del risanamento e della ripresa economica potrebbe essere intrapresa.