Con l’avvicinarsi di un’importante riunione europea, la tregua armata che sembrava essersi imposta all’indomani del voto greco sembra già vacillare. Non che i mercati avessero concesso molto: sui rendimenti europei, l’euforia per i risultati elettorali di Atene era durata quaranta minuti circa; più o meno un minuto per ogni dichiarazione rilasciata da Berlino e Bruxelles sull’esito delle urne. Sul tavolo delle negoziazioni, però, il voto pro euro metteva le basi per un equilibrio che, per quanto instabile, ha permesso una tregua e un giro di consultazioni tra cancellerie europee. Con quali risultati, purtroppo, lo spiegano egregiamente i ribassi di quest’inizio di settimana.
Terminati il summit a 20 e il vertice a 4 con un sostanziale nulla di fatto, ora si attendono l’incontro bilaterale Parigi-Berlino e il Consiglio dei 27. In previsione dell’ennesimo siparietto tra roboanti proposte europeiste e secche smentite tedesche, i prossimi incontri partono sotto i migliori auspici: Moody’s, dopo aver abbassato il rating di 15 tra i principali istituti di credito al mondo, lunedì ha colpito anche 28 banche spagnole.
Resta che chi scommetteva sul crollo dell’Unione europea per mano greca è rimasto deluso e ora, salvo cambi di strategia, Berlino rischia di guadagnarsi il ruolo d’irresponsabile. Con i rendimenti di lungo termine in salita su tutta la zona euro (anche per il Bund), l’arrocco sulla linea del rigore è sempre meno sostenibile e i saldi di bilancio peggiorano senza badare allo spread con Berlino: -4,7% per l’Olanda, -5,2% per la Francia, -8,3% per il Regno Unito e -8,5% per la Spagna. Quest’ultima, tra l’altro, ha appena bussato alla porta di Bruxelles chiedendo 100 miliardi di euro per il proprio sistema bancario.
Davanti al rischio di un’estate infuocata, il presidente francese Hollande ha proposto di accelerare sul Fondo salva-stati in modo da sostenere i titoli dell’eurozona e calmierare gli spread. Secca, e per certi versi sibillina, la reazione della Cancelliera Merkel: “Non ci sono piani concreti di cui io sia a conoscenza – ha dichiarato giovedì scorso -, ma esiste la possibilità di acquistare obbligazioni sui mercati secondari”. In altre parole: scordatevi il sostegno al debito di nuova emissione. Il problema è tutto qui. Iniettare soldi pubblici nel mercato del debito sovrano con l’obiettivo di sostenerne la domanda ha un costo: senza crescita, infatti, a nuova moneta corrisponde nuovo debito. E se le aste di emissione faticano, come sta accadendo a Madrid, un Fondo salva-stati diventerebbe paradossalmente parte del problema e non della soluzione.
La mancanza di proposte concrete non passa inosservata sui mercati e mina la fiducia sull’eurozona: i no che Angela Merkel rivolge all’Europa sembrano in realtà rivolti a galvanizzare il proprio elettorato in vista della campagna del prossimo anno. E, numeri alla mano, si ha il sospetto che la proposta francese di un Fondo salva-stati sia il tentativo, un po’ maldestro, di intestarsi la gestione europea dei rubinetti di liquidità.
A proposito di numeri, a questo punto può essere utile metterli nero su bianco. Secondo dati Eurostat del dicembre 2011, il debito pubblico dei 27 paesi membri è pari a 10mila miliardi di euro, un numero astronomico che però è sotto i livelli di guardia: lo stock di titoli equivale all’82,5% del Pil. Resta il problema politico: temporeggiare tra vertici plenari e girandole di dichiarazioni non è più possibile. E per quanto si abbia paura a toccare i trattati, le uniche proposte credibili su numeri di questo livello sono proposte strutturali.
Inutile girarci ancora in tondo, la proposta strutturale capace di dare la carica ai mercati ha un nome: eurobond. Con due precisazioni. Primo: consolidare in un solo stock 10mila miliardi di euro è fantascienza, perché ciò che non funziona per Spagna, Grecia e Irlanda da sole non funzionerà per gli stessi paesi una volta riuniti in un unico blocco. In altre parole, l’ipotesi che Berlino si accolli il debito di questi paesi senza prima controllarne la capacità di spesa (e quindi limitarne la sovranità) non può essere presa in considerazione. Seconda premessa: come altri contributi su Il Sussidiario hanno sottolineato, i paesi europei hanno raggiunto risultati impensabili quando hanno avuto il coraggio – e l’umiltà – di avanzare per piccoli passi, districandosi tra interessi spesso divergenti grazie alla disponibilità a compromessi realistici. In questo caso si tratta di mediare tra le preoccupazioni legittime di Berlino e le altrettanto legittime richieste dei paesi in difficoltà. Come?
Un’idea che circola con crescente interesse è la proposta di eurobond finalizzati a investimenti per la crescita (infrastrutture, ad esempio). La soluzione non è nuova, ma a oggi Berlino oppone ancora resistenza (come si è visto puntualmente lunedì). Per sbloccare l’impasse, l’eurobond potrebbe essere emesso dalla Commissione europea con notevoli vantaggi. Chi oggi si oppone, avrebbe la garanzia che i volumi di debito sarebbero vincolati alla crescita e limitati nel volume: il budget della Commissione europea, infatti, corrisponde all’1% del Pil europeo e non è destinato alla spesa dei paesi membri. Dall’altra parte, i favorevoli alla proposta potrebbero presentare sui mercati il tanto ambito eurobond con effetti benefici sulla crescita dell’eurozona e di conseguenza sui tassi di interesse dei paesi in difficoltà.
Anche chi ha timori sull’equità degli utilizzi riconoscerà che i progetti della CE si ripartiscono con efficacia su tutto il territorio dell’Unione, mentre a quanti sollevano perplessità sulla capacità di esecuzione si può segnalare che la Banca europea degli investimenti ha le competenze per effettuare operazioni di finanziamento progetti e per statuto può anche partecipare con garanzie fino al 20% del debito erogato. Sempre a proposito di garanzie, vale la pena ricordare che già oggi le passività della CE sono garantite in solido dai paesi membri, rendendo la Commissione un ottimo prenditore di credito.
Resta l’ultimo punto cruciale, per il quale nessuna soluzione tecnica sarà mai sufficiente. Domani comincerà un importante vertice europeo. Meglio delle solite foto di gruppo e delle vaghe dichiarazioni in pompa magna, una prima bozza di eurobond dimostrerà che l’agenda politica europea non è dettata dalle agenzie di rating, né dagli umori dello spread.