Il Libro Verde presentato venerdì dal Ministro del lavoro e politiche sociali, Maurizio Sacconi, è il primo contributo sul futuro del welfare italiano presentato dal governo Berlusconi. Un contributo che, al netto della sua discorsività generale e di un impianto segnato talvolta da una necessaria vaghezza, presenta elementi di indubbio interesse accanto a opzioni su cui è invece utile aprire una discussione ampia, come è nello spirito dichiarato del documento.
Il segno distintivo del Libro Verde è certamente il richiamo alla necessaria trasformazione del sistema di welfare. Si tratta di una modalità sperimentata con un certo successo in tutto il nord Europa (reggendosi da un lato su uno Stato efficientissimo, dall’altro su un livello di prelievo fiscale altissimo) ed in esso si è incarnato il modello sociale della cosiddetta “terza via” socialdemocratica, fino a diventare paradigma dominante nel mainstreaming europeo.
La novità del Libro verde non è però tanto nel richiamo a questa impostazione generale, quanto nel tentativo di innestarla in una prospettiva sussidiaria, ovvero all’interno di un ragionamento più generale sul ruolo capitale che il terzo settore, le famiglie e le altre realtà “comunitarie” della società possono avere nella ricostruzione del sistema di welfare, anche e forse soprattutto per la capacità che esse sole hanno di introdurre elementi ideali necessaria alla definizione di una vita che non sia soltanto “attiva” ma che possa aspirare anche ad essere “buona”.
Elementi indubbiamente interessanti vengono così introdotti sul tema dell’integrazione socio-sanitaria, dove si prefigura (ricalcando di fatto il modello lombardo) un’alleanza piena e senza condizioni tra soggetti pubblici e privati, per la costruzione di una “rete dei servizi sviluppando un connubio virtuoso tra sistema pubblico, famiglia, privato sociale e reti di supporto del volontariato”. Così come interessanti e innovativi per il dibattito pubblico italiano appaiono taluni spunti presenti nel capitolo delle relazioni industriali. Il tema della bilateralità è una modalità di contrattazione di tutele aggiuntive per i lavoratori che sta trovando nuovo spazio in questi ultimi anni e che appare perfettamente sussidiaria nel metodo, mentre la partecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa rappresenta una prospettiva modernissima di superamento della conflittualità tra capitale e lavoro.
Su altri temi, invece, il clima generale del documento sembra risentire maggiormente dell’influenza culturale del modello welfare to work, non sempre in coerenza con le opzioni normative previste dal principio di sussidiarietà. Il tema della libertà di scelta dei servizi non appare debitamente tematizzato, mentre la possibilità di introdurre un sistema fiscale fondato sull’equità orizzontale (ad esempio quel quoziente famigliare di cui si parla nel programma del Pdl) non viene neppure messa a tema. Questa mancanza indebolisce moltissimo il fondamentale capitolo della conciliazione tra lavoro e famiglia, molto sbilanciato sulle necessità del mercato senza contestualmente riconoscere alle famiglie una reale possibilità di scelta coerente con la propria immagine di “vita buona”. L’impianto normativo prescelto opta risolutamente per la centralità strategica dell’incremento del tasso di occupazione in un’ottica di pari opportunità, finalizzando a questo obiettivo (non all’aumento della natalità e ancor meno al benessere effettivo della famiglia, che non sempre prevede o desidera avere una madre lavoratrice) l’intero schema delle politiche di conciliazione.
Su questi e su altri temi inizia ora una sperabilmente ampia consultazione pubblica, che nelle intenzioni del Ministro Sacconi dovrà durare tre mesi. Tre mesi in cui su queste colonne torneremo ad avanzare le nostre proposte, per una più compiuta traduzione del principio di sussidiarietà in tutti i settori del welfare.