“Dal primo gennaio nessuno potrà più dirci che dobbiamo fare i compiti a casa. Dopo riforme corpose punteremo al new deal europeo. E sulla flessibilità saremo più duri in Europa”. Lo ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nella riunione con gli europarlamentari di S&D. Ne abbiamo parlato con Antonio Maria Rinaldi, professore straordinario di Economia politica e docente di Finanza aziendale.
Davvero come dice Renzi è finito il tempo dell’assoggettamento dell’Italia ai diktat Ue?
Renzi è bravissimo a fare le dichiarazioni, ma poi fa il contrario di quello che dice. La sua è la solita annuncite cui siamo abituati. Si sta anche concludendo il semestre di presidenza Ue, che era stato enfatizzato inizialmente come un’opportunità eccezionale, mentre è passato in sordina senza che nessuno si sia accorto di niente. Renzi non vuole ammettere che per quanto la flessibilità sia in parte contemplata dai regolamenti Ue, di fatto ci è preclusa per decisione della Germania. La flessibilità inserita nei trattati non è una novità di adesso, esiste già da moltissimo tempo. Il fatto che mai nessuno sia riuscito a tradurla in pratica la dice lunga sulla volontà politica da parte dell’azionista di maggioranza, cioè Berlino.
Che cosa ne pensa del piano Juncker da 300 miliardi di investimenti presentato ieri al Parlamento europeo?
Il piano è una grandissima presa in giro. È stato scelto come bandiera per l’elezione di Juncker, ma nella sua configurazione pratica si tratta di una furbata. Da un punto di vista finanziario c’è un coinvolgimento minimo della Bei (Banca europea per gli investimenti), mentre la gran parte dei fondi deve venire dagli Stati membri e da privati. Poniamo che l’Italia ci metta di tasca propria 2 miliardi di euro: potrà scomputare quella somma dal deficit, ma non è detto che andrà a finanziare dei progetti nel nostro Paese. Mentre se l’Italia destina direttamente 2 miliardi a progetti interni non li potrà togliere dal computo del deficit. Con il piano Juncker è quindi possibile che spendiamo una determinata somma senza poi poterla utilizzare, in quanto andrà a finire agli investimenti in Polonia, Grecia, Portogallo o Spagna.
Secondo lei, come andava finanziato il piano Juncker?
La Bce avrebbe dovuto svolgere il compito della vera banca centrale: aumentare la base monetaria e destinarla agli investimenti. Basterebbe fare come tutti gli altri paesi e tutte le banche centrali del mondo. In questo momento siamo in deflazione e la Bce ha lo spazio per aumentare l’inflazione fino al 2%: non si capisce quindi che cosa aspetti per aumentare la base monetaria.
Juncker però sembra intenzionato a percorrere un’altra strada…
Le alchimie e i giochetti contabili di Juncker lasciano il tempo che trovano e non ci portano da nessuna parte. Questo ci fa capire che la Commissione Ue non ha la minima cognizione della situazione in cui si trovano l’Europa e in particolare paesi come l’Italia. Si creano sempre questi meccanismi che vanno a puntellare l’euro, di fatto però senza mai riuscirci.
Quali sono le sue previsioni per quanto riguarda il Pil italiano nel 2015?
Nel 2015 si ripeteranno gli enormi problemi del 2014, con l’accentuazione del fatto che i consumi interni non crescono, il debito aumenterà e ci sarà sempre di più la necessità di fare ricorso alla leva fiscale per poter fare quadrare i conti. Ciò porterà la situazione ad avvitarsi ancora di più su se stessa. Man mano che ci si avvicina al 2015 anche gli organismi internazionali stanno rivedendo al ribasso le stime fatte in precedenza. Anche l’anno prossimo ci ritroveremo di fronte allo stesso scenario che stiamo ormai vedendo da tempo.
(Pietro Vernizzi)