Al Quirinale la domenica è trascorsa in attesa di segnali di novità, invano. Si riparte, quindi, dagli elementi già consolidati nel percorso imposto da Sergio Mattarella alla crisi di governo. Difficilmente, perciò, la scelta potrà essere diversa da quella di un mandato esplorativo mirato al presidente della Camera, Fico, uguale e contrario a quello affidato alla collega del Senato Casellati, cioè teso a esplorare soprattutto le possibilità di intese fra i 5 Stelle e il Pd.
Sono tanti gli indizi che portano a questa conclusione. La logica, anzitutto, quella per cui Mattarella è partito dalla prima coalizione, dal momento che la legge elettorale la prevede. E formalmente quella coalizione non si è ancora rotta, solo giovedì è uscita compatta con i suoi tre leader dallo studio della presidente Casellati. Certo, le sue carte il centrodestra unito se le è giocate. Due giri di consultazioni del Capo dello Stato e il mandato esplorativo alla Casellati (espressione di quell’alleanza) hanno certificato l’impossibilità di un’intesa con i 5 Stelle per costituire quella convergenza necessaria a raggiungere la maggioranza in parlamento. Non sarà certo Mattarella a fare un solo passo per spaccare il centrodestra, quindi si passa ad altre opzioni. Lo schema 5 Stelle-Lega formalmente non esiste sino a quando non verrà certificata, in modo pubblico e inequivocabile, la fine dell’alleanza.
In attesa che il dialogo fra Salvini e Di Maio produca frutti, il Capo dello Stato non può che cambiare il centro della sua attenzione: dalla prima coalizione alla seconda formazione, cioè i grillini. Quindi, mandato esplorativo a Fico, molto meno probabile un preincarico a Di Maio. Va capito però se questo sarà un tentativo a vuoto, oppure porterà all’apertura di una trattativa concreta con il Pd. Sin qui a impedirlo è stato soprattutto il veto di Renzi a ogni intesa con i grillini. Solo i prossimi giorni consentiranno di vedere se il muro di Rignano regge ancora, o se prevarranno i “trattativisti”.
Il mandato esplorativo a Fico, infatti, potrebbe anche finire per essere funzionale a guadagnare tempo al saldarsi dell’asse dei giovani, sulla direttrice Di Maio-Salvini. Complice la festa della Liberazione, mercoledì 25, il suo lavoro potrebbe coprire la settimana che ci divide dalla seconda tornata elettorale regionale, il Friuli Venezia Giulia, ben più significativa del Molise, soprattutto per Salvini.
Il pressing di Di Maio sul leader leghista è diventato asfissiante: gli assegna la patente di affidabilità, guadagnata nella trattativa sui presidenti delle Camere, ma gli dice che il tempo sta scadendo. Del resto, dal voto sono passati già 50 giorni. E dopo il mandato esplorativo di Fico, se sarà infruttuoso, il Quirinale sarà davanti a un bivio secco: o sarà avvenuta la rottura nel centrodestra, e decollerà il governo Di Maio-Salvini, oppure si aprirà la strada a un esecutivo di emergenza sotto l’ombrello presidenziale, che traghetti l’Italia al voto, dopo aver riscritto la legge elettorale.
La patata bollente è quindi nelle mani di Salvini, e il finale non è affatto scritto. Se da una parte il leader leghista spiega di sentire forte la richiesta di un governo per il cambiamento, dall’altra la sua esitazione a recidere il cordone ombelicale che lo lega a Berlusconi è ben giustificata. Se dovesse scegliere di mollare gli ormeggi che lo legano al centrodestra, infatti, Salvini finirebbe in una posizione subalterna, nella quale è impensabile che sia lui a ricevere il mandato di formare il governo. Agli occhi di Mattarella, la sua chance se l’è già giocata. E ottenere da Di Maio che sia un terzo a guidare l’operazione sarà durissima.
La sentenza di Palermo sulla trattativa Stato-mafia, poi, paradossalmente rischia di costituire un freno all’ipotesi di abbandonare Berlusconi. La condanna di Dell’Utri ha indebolito l’ex Cavaliere, e ha reso chiaro quanto sia contendibile oggi Forza Italia. Non a caso Berlusconi ha immediatamente abbassato i toni, professando fedeltà al neo-leader del centrodestra, temendo la marginalizzazione. Il dilemma è vecchio come il mondo: meglio l’uovo oggi, o la gallina domani? A Salvini l’ardua sentenza. E dalla risposta dipende buona parte dell’evoluzione della crisi di governo.