Nel disinteresse della stampa europea (presa dai problemi di finanza internazionale e del debito sovrano dei singoli paesi) è stato presentato il 27 luglio a Bankgok il World Trade Report 2011, un volume compendioso e difficile da digerire, anche in quanto i sunti prodotti dall’Organizzazione mondiale del commercio (Omc/Wto) sono anche essi ampi e di non facile lettura per coloro che, almeno una volta nella vita, non sono stati barracuda-esperti di commercio internazionale.
Dall’analisi del documento si trae un quadro sconfortante: stiamo tornando a una frammentazione del commercio mondiale analoga a quella che ha caratterizzato il periodo tra le due guerre mondiali (quando, tuttavia, il combinato disposto di controlli valutari unilaterali e fluttuazioni tra monete aveva, nel complesso, l’effetto di temperarne gli effetti depressivi sulla crescita mondiale).
All’origine del groviglio non ci sono misure protezionistiche dei singoli paesi o delle singole aree commerciali, ma un reticolo di circa 300 accordi preferenziali “approfonditi” (in quanto spesso riguardano non solo dazi, tariffe e quel po’ che è rimasto di contingenti, ma anche regolazione in materia di scambi di servizi bancari e assicurativi, nonché telecomunicazioni e di altri comparti ad alta tecnologia). In gergo, vengono chiamati “Deep preferential trade agreements” (Dpta).
Mediamente ciascun Stato membro dell’Omc/Wto ha sottoscritto 13 Dpta; l’area dove sono più diffusi è il sud-est asiatico, dove i Pdta vengono visti come parte di un percorso per giungere, nell’arco di un decennio, a una zona di libero scambio nella regione. L’economista giordano Adbul Latif Salleh, non associato all’OmC/Wto, ha pubblicato di recente uno studio in cui dimostra come i Dpta (di cui è un entusiasta proponente) abbiano facilitato l’industria elettronica di numerosi paesi asiatici sotto il profilo sia della produzione, sia dell’innovazione. Uno dei “maestri” della teoria del commercio internazionale, Jagdish Bhagwati (della Columbia University di New York) ha invece pubblicato su un centinaio di testate il 26 luglio (ossia la vigilia della presentazione del documento), un articolo per sostenere che i Dpta sono “il modo sbagliato” per liberalizzare il commercio.
Dato che, come si è visto, tutti gli stati membri dell’Omc/Wto sono coinvolti, in vario modo, in Dpta, il documento prende una posizione pilatesca, ossia tenta di lavarsi le mani spiegando i pregi (i Dpta come risultato dei cambiamenti della struttura mondiale di produzione e come veicolo contro protezionismi ancora peggiori) e i difetti (distorsioni commerciali di vario tipo) degli accordi senza prendere una chiara posizione in materia. Il Direttore generale dell’Omc/Wto, il francese Pascal Lamy (a lungo Capo di Gabinetto di Jacques Delors) scansa il nodo di fondo: la coerenza e la compatibilità dei Dpta con i principi della reciprocità e non discriminazione alla base della liberalizzazione del commercio mondiale.
L’Unione europea e a maggior ragione l’eurozona (con gli addentellati di Stati associati all’Ue o in qualche modo con monete agganciate all’euro) sono precursori dei Dpta sorti negli ultimi tempi. Al momento della creazione di quello che sarebbe stato il mercato comune europeo e della conclusione degli accordi di associazione con le ex-colonie, ci fu un intenso dibattito in seno al Gatt (che precedeva l’Omc/Wto e al pari di quest’ultimo si basava sui principi di reciprocità e non discriminazione).
Il relatore fu Alexandre Lamfalussy, allora giovane economista che sarebbe poi stato la guida dell’Istituto monetario europeo (predecessore della Banca centrale europea). Lamfalussy mise a punto un interessante modello econometrico da cui si giunse alla conclusione che il mercato comune europeo sarebbe stato “trade creating” (avrebbe creato commercio mondiale, al netto delle preferenze nell’area) non “trade diverting” (causa di distorsioni). Non sono state fatte analisi analoghe per i numerosissimi altri Dpta.
Cosa si può fare? Mico Apostolov della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa sostiene che l’Ue deve e può prendere l’iniziativa poiché è il maggior blocco commerciale del mondo. Quindi, ha titolo per farsi ascoltare negli organi di governo dell’Omc/Wto. Forse, però, è adesso in tutt’altre faccende affaccendata. Gli Usa, dal canto loro, non riescono neanche a fare ratificare dal Congresso gli accordi bilaterali con Corea, Colombia e Panama firmati ai tempi dell’Amministrazione Bush. Illusorio, quindi, contare su Washington.