Quando studiavo all’Università di Pisa, dipartimento di Filosofia, seconda metà degli anni ‘80 del secolo scorso, ero un antifascista scontato, di quelli che non potevano essere antifascisti. Analogamente a ciò che canta Gaber in “Qualcuno era comunista”: “La stampa, la cultura…tutti erano comunisti”, più o meno. Ecco, io non ero comunista – questa perversione non l’ho mai coltivata, mi sono dedicato ad altri generi di perversioni -, ma da socialista marxista e libertario, beh non potevo non essere fieramente e graniticamente (cioè, stolidamente) antifascista. Poi venne De Felice, la sua revisione storiografica sul Ventennio, e infine, diciamolo pure, gli uomini fortunatamente cambiano (smentendo il meraviglioso testo della canzone cantata dall’assoluto genio musicale di Mia Martini: cambiano, eccome, gli uomini). Insomma, alla fine della fiera, mi ritrovai non più antifascista a diciotto carati e soprattutto consapevole di una verità storica che mi consente di arrivare al punctum dolens che intendo affrontare: la democrazia italiana è stracolma di subcultura fascista.
Un esempio? E così arriviamo al punctum dolens: il questionario che la Guardia di Finanza sta inviando ai clienti dei professionisti, e in generale alle partite Iva, sospettati di essere evasori fiscali (dunque, arriverà anche al sottoscritto…brrr): siamo alla delazione di Stato. Né più, né meno. Con il massimo rispetto che si deve alle istituzioni e qui viene in soccorso finanche San Paolo, che chiede ai cristiani di sottomettersi umilmente alle leggi dello Stato, ma di questo si tratta. Voglio dire: tocca a te, Stato, pescare chi evade e farti pagare il dovuto, non a me. Non è vero che io debba per forza aiutarti in ogni modo a fare qualcosa che spetta soltanto a te, Stato, anche perché questa presunzione afferisce al Leviatano, il cui marchio di fabbrica è: “Auctoritas aut potestas, not veritas facit legem”. Tradotto: chi comanda impone la verità di Stato a tutti.
Niente da fare, questo è fascismo larvato e subcultura della delazione. Potrebbe essere accettato – non da me, perché su questo non sono per la zona grigia – un questionario inviato, facoltativamente e senza alcuna contromisura, ai cittadini, tramite il quale si chiede di vagliare spese, costi, fatture, ecc. Ma non è assolutamente accettabile – né in punta di diritto, né in ambito di diritto naturale – che un’Arma dello Stato, un corpo dello Stato, dunque lo Stato, si arroghi il diritto di penetrare dentro la sfera della coscienza e perché no dell’amicizia fra un professionista e un cittadino suo cliente, onde minare un ordine umano e naturale, pretendendo, pena una multa salata o addirittura il ricorso penale, tutta la verità su qualcosa già, peraltro, dichiarato nella denuncia dei redditi e, perciò, già agli atti.
Tutto ciò è inaccettabile, figlio della subcultura della delazione di marca fascista e, dunque, inadeguato sul piano oggettivo in uno Stato liberaldemocratico e di diritto. Fioccheranno chissà quanti ricorsi per multe e ricorsi penali, è inevitabile, ma il punto è un altro: a che punto di distorsione statolatria e illiberale siamo giunti in questo sciagurato Paese? E quando finirà questa persecuzione di Stato contro cittadini, produttori di reddito, e imprenditori, produttori di utili, profitti, e sempre sul bordo mobile del rischio, in un momento come questo?
Ciò significa solo una cosa: che in uno Stato sedicente “democratico” possono tranquillamente coesistere pratiche totalitarie e illiberali di questa natura. Caro Bobbio, ci hai fregati tutti con le tue fregole proceduraliste, come se di Stato si dovesse parlare come di un desu mortalis, come voleva Hobbes, e ciò solo perché a questo Stato si poneva accanto l’aggettivo qualificativo – sempre più equivoco – “democratico”. Niente da fare, tutto sbagliato tutto da rifare, come diceva il grande italiano cattolico e libertario, campione nell’anima e nel corpo, Ginettaccio Bartali.