Chi immagina che il sì a larga maggioranza venuto ad Anna Maria Tarantola da parte della commissione parlamentare di Vigilanza chiuda il braccio di ferro intorno alla RAI si sbaglia di grosso. La partita è ancora aperta nonostante i 31 sì su 40 (contrari solo leghisti, dipietristi e radicali) che hanno dato il definitivo via libera all’ex vice direttore della Banca d’Italia alla presidenza dell’azienda radiotelevisiva pubblica. E la partita è tutta interna alla variegata maggioranza che sostiene il governo Monti.
Nelle 48 ore che hanno preceduto il voto della Vigilanza le trattative sono state frenetiche e non tutte le garanzie sono ancora state date. Oggetto del contendere son i super-poteri alla neo presidente di Viale Mazzini, la delega, che il consiglio d’amministrazione dovrebbe conferirle di sottoscrivere i contratti sino a dieci milioni di euro e di procedere – su proposta del direttore generale – alle nomine di tutti i dirigenti non editoriali.
Per i partiti, di casa da sempre al settimo piano del palazzo del Cavallo, sarebbe una sorta di abdicazione, perché resterebbe ben poco da votare, di fatto solo i direttori delle reti e dei TG, ma non i responsabili delle strutture più ricche, come RAI Fiction o RAI Cinema. E i più arrabbiati sono quelli del PDL, che hanno chiesto garanzie direttamente a Palazzo Chigi. Garanzie che – almeno in parte – sarebbero arrivate, dopo ore di pressing asfissiante. E lo testimoniano dichiarazioni incrociate come quelle di Gasparri, che richiama al più rigido “rispetto delle norme e delle sentenze vigenti”, e quelle di Gentiloni, che si augura che “i giochi siano finiti e si renda operativa l’azienda”. E porsi questa domanda equivale a adombrare che questo nodo non sia stato ancora del tutto sciolto.
Probabile che in Consiglio si svolgerà un braccio di ferro intorno al perimetro delle deleghe del neo presidente, la terza donna su quella poltrona dopo Letizia Morati e Lucia Annunziata. E in parallelo altri paletti saranno posti nel processo di nomina del direttore generale fortemente voluto da Mario Monti, ex di Wind Luigi Gubitosi.
Monti volutamente ha violato la procedura, perché l’indicazione del Dg sarebbe dovuta avvenire dopo l’insediamento del Cda. Ma la mossa serviva a chiarire che in RAI la musica era destinata a cambiare.
Forse sono troppo ottimistici i proclami di vittoria di Sergio Zavoli, secondo cui da oggi l’ente radiotelevisivo di Stato è una realtà diversa. Ci vorrà del tempo e un prevedibile corpo a corpo con le sabbie mobili della burocrazia aziendale, la cui dirigenza accoglierà probabilmente come due marziani il duo Tarantola – Gubitosi.
Eppure qualcosa si muove, basti pensare che la scure dei tagli si è già abbattuta sul Cda. I nuovi consiglieri non avranno più ufficio, né segretaria, il risparmio sarà sensibile. Andranno in RAI solo per le sedute del Cda, non vi albergheranno in permanenza come avvenuto sino ad oggi in qualità di proconsoli dei rispettivi politici di riferimento.
E’ un primo passo, ma potrebbe non bastare. Di sicuro per salvare la RAI servirà – è il caso di dirlo – una cura da cavallo. E le beghe intorno al nome del successore di Alberto Maccari al TG1 (Mario Calabresi o Mario Orfeo), oppure a Raiuno oggi guidata da mauro Mazza, potrebbero essere una questione secondaria.