«Parlare di un taglio dell’Irpef nel 2018 significa firmare una cambiale a babbo morto. Il governo può anche decidere di ridurla tra 250 anni, ma non è questo lo spirito della legge di bilancio». È il commento dell’economista Mario Baldassarri, ex viceministro dell’Economia e delle Finanze, senatore per due legislature e attualmente presidente del centro studi Economia reale. Secondo fonti di maggioranza e di governo citate dall’Ansa, l’esecutivo starebbe valutando l’ipotesi di mettere nero su bianco nella legge di bilancio 2017 il taglio dell’Irpef che entrerebbe però in vigore nel 2018.
Professore, la ritiene una proposta credibile?
La legge di bilancio dovrebbe riferirsi all’anno prossimo e non al 2018. Il vero problema però sta a monte. Noi quest’anno abbiamo di fronte due problemi seri. Il primo è che nel 2016, 2017 e 2018 il rapporto debito/Pil anziché diminuire continuerà ad aumentare. Questo è il campanello d’allarme primario per i mercati e per la Commissione Ue.
Qual è invece il secondo problema?
È l’obiettivo di azzerare il deficit, che il governo ha spostato di anno in anno negli ultimi tre anni, ma che va comunque realizzato entro il 2018. Parlare di un taglio dell’Irpef nel 2018 significa quindi firmare cambiali a babbo morto. In realtà, il taglio dell’Irpef si potrebbe fare anche l’anno prossimo, basta tagliare 30-40 miliardi di sprechi, ruberie e malversazioni nelle voci specifiche di spesa pubblica. Invece quei 30-40 miliardi sono ancora scritti a bilancio.
Almeno come effetto annuncio, se il governo si impegnasse a tagliare l’Irpef nel 2018 questo farebbe aumentare i consumi?
Gli italiani sono persone serie e perbene e non sono cretini. Questi annunci si ripetono da due anni, e i cittadini hanno dimostrato che non li seguono, ma preferiscono mettersi una mano in tasca e vedere quanti soldi hanno.
L’Ue concederà la flessibilità richiesta dal nostro governo?
Un conto è se il governo presentasse un piano in cui afferma che dall’anno prossimo l’Italia farà 10 miliardi in più di infrastrutture e di investimenti pubblici, chiedendo la flessibilità per finanziarli in deficit. Ben altro discorso è se uno va a chiedere di fare più deficit senza dire che cosa intenda farci.
Lei come valuta il modo in cui si sta delineando la Legge di bilancio 2017?
È una legge di bilancio vincolata, in quanto il nostro governo dovrà trovare 15 miliardi di euro per non aumentare l’Iva. Poi si può anche alzare il prezzo delle sigarette, ma non mi sembra un’idea geniale. Le clausole di salvaguardia sono state concordate con l’Unione europea da tutti gli ultimi governi italiani, incluso quello di Matteo Renzi. Negli ultimi due anni le clausole sono state eliminate aumentando il deficit, e questo sarebbe il terzo anno consecutivo in cui ciò avverrebbe.
In manovra ci sono anche il taglio dell’Ires, le misure sulle pensioni…
Sono tutte promesse. Quello che è certo sono i 15 miliardi di clausole di salvaguardia da disinnescare. Per quanto riguarda il resto, vedremo che cosa ci metterà il governo e in quale misura. Ci sono state dichiarazioni, conferenze stampa, annunci, ma poi i soldi chi ce li mette? Sul tavolo ci sono anche il pubblico impiego e la stabilizzazione degli insegnanti a scuola.
Per ora qual è il suo giudizio?
Giudicherò positivamente una Legge di bilancio che incominci dicendo: “Dall’anno prossimo nelle voci di acquisti e forniture delle pubbliche amministrazioni c’è un vincolo di bilancio che obbliga a ridurre la spesa del 5% rispetto all’anno scorso”. Il comma 2 dovrebbe dire: “Dall’anno prossimo i 35 miliardi di euro in fondi perduti versati ogni anno non saranno più erogati”.
Che cosa sono questi fondi perduti?
Si tratta di 20 miliardi di trasferimenti in conto corrente e 15 miliardi in conto capitale inseriti ogni anno nel bilancio dello Stato italiano.
A chi vanno questi fondi perduti?
Quelli in conto capitale vanno a Ferrovie dello Stato e trasporti pubblici locali. Sui 20 miliardi in conto corrente, 17 miliardi vanno alle Regioni che li ridistribuiscono a pioggia.
Quali altre misure inserirebbe nella Legge di bilancio 2017?
Lo Stato dovrebbe provvedere a pagare i debiti pregressi ai fornitori, che sono tornati a superare 60 miliardi di euro. Questo sì che sarebbe un bell’incentivo alla ripresa. Le imprese sono strozzate ancora una volta dal fatto che i fornitori della Pa non sono pagati. Si era promesso che in Italia nell’arco di due anni avremmo allineato i tempi di pagamento a quelli europei, che vanno dai 60 ai 90 giorni, eppure siamo ancora a 360 giorni.
Per il Centro Studi di Confindustria, le condizioni internazionali sono sfavorevoli…
Non è questione di condizioni favorevoli o sfavorevoli. Con il Quantitative easing, i bassi tassi d’interesse, la liquidità e l’euro che è sceso, la Bce ha determinato una condizione favorevole. Ma Mario Draghi ha ammonito fin dall’inizio gli Stati dell’Eurozona, dicendo loro che se non ne avessero approfittato per fare vere politiche di bilancio di sostegno alla crescita e all’occupazione, la politica monetaria da sola non sarebbe stata sufficiente. Draghi ha aperto un finestrone di opportunità a tutta l’Europa, e non soltanto all’Italia, ma l’Europa e a maggior ragione l’Italia non ne stanno approfittando.
(Pietro Vernizzi)