Sarà che di anni dalla versione iniziale ne sono passati. Ma risulta ammosciato assai, il “celodurismo” leghista rispolverato da Bossi dopo il voto del Parlamento sulle operazioni militari in Libia. Perché, a stretto giro di approvazione della mozione di maggioranza in cui si chiedeva una data certa per lo stop delle missioni aeree, la Nato mandava seccamente a dire che non è possibile stabilire nessuna data. Cosa talmente ovvia, che avrebbe potuto capirla in anticipo anche il più sprovveduto degli italiani.
E siccome non è pensabile che non ci arrivi anche la politica di casa nostra, per quanto scalcinata, è chiaro che c’è dell’altro. Per nulla confortante, comunque: è grave che il Palazzo arrivi ad anteporre le pinzillacchere (come le chiamerebbe Totò) interne alla politica estera. Il tutto all’insegna di una sostanziale ipocrisia reciproca, che fa da foglia di fico alla manifesta nudità delle argomentazioni. Sono giorni che va avanti lo stucchevole ping-pong di dichiarazioni tra Bossi e Berlusconi; e intanto gli aerei italiani volano e colpiscono da ancor prima che il balletto avesse inizio.
Continueranno a farlo, e la sola data possibile perché smettano sarà quella di una resa o di una caduta di Gheddafi: che né il Cavalier “Ghe pensi mi” né il Senatùr del “celoduro” sono in grado di vaticinare, tanto meno di stabilire. Quanto alla promessa che la missione non graverà sulle tasche degli italiani, è tutto da verificare: per pagare i voli, i soldi da qualche parte bisognerà pur prenderli. E da sempre, in Italia, la politica è abituata a fare il pieno alle pompe di benzina, ricavandone il carburante economico necessario grazie al perverso meccanismo di addizionali che, una volta introdotte, non finiscono mai.
Ma dietro questa recita, cosa si muove nel backstage, come va di moda chiamarlo adesso (in vecchio italiano: dietro le quinte)? È molto semplice: la Lega, a dispetto delle roboanti dichiarazioni di facciata, non ha mai pensato neanche per un minuto di far cadere il governo. La vera partita che Bossi sta giocando con Berlusconi riguarda la conquista del ruolo di primo partito del Nord.
Il Carroccio ci aveva già provato tra il 1987 e il 1996, arco di tempo in cui era passata dall’1% scarso al 20,5 per cento (il 10 a livello nazionale). Poi aveva pagato pesantemente la ricucitura con Arcore, scendendo all’8,2 del 2001 e all’8,5 del 2006 (rispettivamente, a livello nazionale, il 3,9 per cento e il 4,2). Dal 2008, nelle tre elezioni che si sono succedute (politiche, europee, regionali) è salita fino al 23 per cento (il 12 a livello nazionale). Ma ancor più indicativo è lo scarto rispetto al Pdl: nel 2006, Forza Italia e An insieme sopravanzavano la Lega di ben 26 punti, oggi sono a meno di 5 (per l’esattezza, il 4,7: 27,7 il Pdl, 23 il Carroccio). Già adesso quello di Bossi è il primo partito al Nord in 1.411 Comuni sotto i 15mila abitanti su 3.344, il che vuol dire il 42 per cento dei municipi; ha due presidenti di Regione, 15 presidenti di Provincia e oltre 350 sindaci. E sommando le due principali aree di consenso leghista, Lombardia e Veneto, il vantaggio a favore del Pdl è di appena un decimale (29,7 contro 29,6).
La sfida è manifestamente aperta, anche grazie alla cronica debolezza sopra il Po del centrosinistra, costretto a fare da spettatore. Se il complesso dei risultati del 15 maggio segnerà il sorpasso, allora Bossi presenterà il vero conto a Berlusconi.
E sarà indicativa anche e soprattutto la partita di Milano, dove il Cavaliere si è speso personalmente mettendosi come capolista. Se Letizia Moratti perdesse, ma anche solo se dovesse essere costretta al ballottaggio (e si sa che l’elettore leghista nei ballottaggi non si mobilita se non c’è in gara un suo candidato), allora per il Pdl la questione si farebbe spinosa assai. Con conseguenze imprevedibili.
E non basterà più a Berlusconi cercare di blandire la Lega con le caramelle di turno: come quella elargita ieri con l’accenno a Giulio Tremonti (il politico Pdl più gradito al Carroccio) come suo possibile successore. Un altro, dopo Alfano; a chi toccherà la prossima designazione? Comunque di cartapesta, per Sua Emittenza che non si è mai posto davvero il problema del delfino: non ha spiegato più volte che vivrà fino a 120 anni (almeno)?