Ci sono notizie gustose, come la ciliege: “Cento trilioni di dollari sono tanti, troppi soldi e in soli sette anni sono lievitati come il pane: dal 2007 a oggi, il debito è aumentato del 40%, passando da 70 a 100 trilioni”. E, come per le ciliegie, una notizia tira l’altra: secondo la Banca dei regolamenti internazionali, il “lievito madre” di questo debito sono stati i governi mondiali e le loro politiche economiche, intenti a salvare il sistema finanziario dal default. Basta guardare la situazione degli Stati Uniti d’America, Paese da cui la crisi ha avuto origine: qui il debito è passato dai 4.500 miliardi di dollari agli attuali 12.000 miliardi. Poi un’altra ancora: “Dal 2007 la base monetaria degli Stati Uniti è salita da 800 miliardi a 3.7 bilioni di dollari. Quantitative easing come se piovesse”. Questa maledetta crisi!
E no, questi non sono gli effetti, queste sono le cause della crisi! Già, le cause, quelle della strutturale sovraccapacità produttiva che ha imposto dazi al mondo. Cos’altro sono le tecniche di reflazione, messe in campo per dar sostegno alla domanda, che spandono moneta da dare a credito che diventa debito? Dazi appunto, da pagare per ripristinare il valore di merci altrimenti svalutate. Tal credito rifocilla portafogli smilzi che acquistano quel che possono: si smaltisce l’eccesso, non scendono i prezzi. Due piccioni con una fava: quella del debito. Quel debito passato di mano in mano, quando si fa inattingibile diventa debito sovrano. Così si è giunti a bomba.
Ricominciamo daccapo, dall’alterazione del meccanismo di formazione dei prezzi. In un mercato efficiente, quando la domanda si mostra in eccesso perché i redditi erogati sono insufficienti ad acquistare quanto prodotto, i prezzi scendono, si ripristina l’equilibrio. In un mercato inefficiente, invece, grida disumane accompagnano il fatto: deflazione, deflazione!
Giammai, gridano i più. Armati di un vecchio paradigma (il quale recita: “Le imprese producono beni, valore che genera ricchezza; creano occupazione, con il lavoro forniscono reddito; danno ristoro ai bisogni”) che accredita i produttori generatori di ricchezza, rivendicano il credito, armando una canizza che confonde valore e prezzo.
Già, quando il liquido monetario comincia a scorrere il gioco è fatto: quel valore incontrando un potere d’acquisto dopato, fa un prezzo fasullo; viene così generata ricchezza, altrettanto fasulla. Venuti al pettine i nodi, indebitati oltre misura gli indebitabili, quella ricchezza, già fasulla, immiserisce. E quando si arriva alla fine della fiera nel mercato, liberato dagli anabolizzanti deflattivi, si scorge l’altro, l’inaudito. Un nuovo valore, per un nuovo paradigma (che recita: “L’acquisto trasforma il valore in ricchezza, la consumazione del prodotto genera input per nuova produzione; viene così fornita continuità al ciclo, sostanza alla crescita”), quello delle risorse messe in campo per fare la crescita, impiegate da chi fa la spesa.
Ristorato quel valore della spesa, che smaltisce sovraccapacità, viene rivalutato pure quello della produzione. Toh, pure così due piccioni con una fava ma senza debito!
Ok, il prezzo, quello giusto conviene a tutti, pure per rimettere quel debito già fatto.