Un sogno di mezza estate ha preso possesso dei terreni dell’economia, una volta tanto tutt’altro che triste scienza. La Borsa di Milano si accinge a chiudere la prima settimana di questo torrido agosto con un rialzo del 13% abbondante rispetto a inizio anno. Nessun altro listino al mondo può vantare un risultato migliore, ancor più sorprendente perché coincide con il rialzo dell’euro, sopra del 15% circa rispetto al dollaro. Pier Carlo Padoan può intanto trarre soddisfazione da un altro dato: il rendimento dei Btp decennali è sceso sotto la barriera del 2%, come non capitava da mesi. A questo punto i timori per la prossima Legge di bilancio sono ridimensionati. Per più motivi.
La ripresa, innanzitutto, sta prendendo vigore e, a giudicare dalle previsioni a breve termine di Istat per l’economia italiana, nei prossimi mesi miglioreranno: “L’indicatore anticipatore continua a mantenere un orientamento positivo”, si legge nella nota mensile di Istat relativa al mese di luglio . “Si consolida la crescita economica – si legge ancora – con segnali positivi diffusi a livello settoriale e sul mercato del lavoro”. A questo punto è possibile ipotizzare una manovra da 15 miliardi (9 per neutralizzare l’aumento dell’Iva), assai meno traumatica di quanto ipotizzato solo pochi mesi fa.
Ma a che si deve questo (temporaneo) stato di grazia? Quanto può durare? E, non meno importante, dove stanno le possibili controindicazioni?
1) Il rialzo della Borsa dipende in buona parte dalla “resurrezione”del comparto bancario di cui è efficace simbolo Unicredit, non molto tempo fa una delle realtà a maggior rischio. Oggi, al contrario, si profila una fase di grande effervescenza all’insegna degli m&a. Emerge la volontà di spezzare il legame che stringe Unicredit-Mediobanca-Generali, una fortezza che ha difeso la stabilità del sistema a scapito dell’efficienza e della creazione di valore. Tutto bene? Mica tanto, se pensiamo che il risanamento di Monte dei Paschi, delle banche venete e di altri istituti ha comportato la mobilitazione di ingenti risorse e di garanzie pubbliche. Ma il risanamento delle banche è senz’altro una condizione necessaria per la ripresa.
2) La maggior stabilità del sistema finanziario italiano, assieme alla riscossa della Francia dopo le elezioni, ha favorito il rilancio dell’eurozona, una delle premesse virtuose dell’attuale congiuntura globale. Tra i meriti altrui ci sono la stabilizzazione dell’Europa, assieme alla buona crescita dell’Asia e il miglioramento della posizione di molti paesi emergenti. Di qui il recupero dell’euro, già fortemente sottovalutato come aveva ricordato in primavera Angela Merkel. Oggi la moneta unica è senz’altro più forte, ma ancora in convalescenza. Solo se, in attesa che l’Italia sappia trovare un sollievo temporaneo al suo travagliato iter politico, Macron farà passare le sue riforme strutturali e se l’industria esportatrice tedesca avrà assorbito senza troppe conseguenze la perdita di profitti d e r i v a n t e d a l l a rivalutazione, l’euro sarà pronto per un rialzo ulteriore. Fino a dove? Oltre 1,20, più facile verso 1,30.
3) Alla debolezza del dollaro contribuisce la perdita di fiducia nelle riforme strutturali di Donald Trump, in primo luogo quella fiscale, nella quale il mercato ha smesso di credere fino a prova contraria. Poi c’è una crescita dell’economia modesta in un ciclo maturo, che sembra indurre la Fed ad ammorbidire i toni rispetto ai futuri rialzi dei tassi. E non va dimenticata la volontà politica dell’amministrazione Trump di ottenere con un dollaro più basso quella crescita in più che non è riuscita a conseguire con le riforme e con la riapertura del negoziato sui trattati commerciali internazionali. Più di tutto rischia di pesare la profonda frattura tra le due anime del Paese: il Presidente è ormai sotto il fuoco del Grand Jury, primo passo per un atto d’accusa giudiziaria della sua amministrazione. Ma la base di consenso del presidente resta molto solida. Proprio ieri il governatore democratico del West Virginia, John Justice, è passato tra le fila repubblicane per manifestare il suo appoggio alla politica pro-carbone e contro l’accordo di Parigi sul clima.
4) La debolezza del dollaro ha un potente effetto reflazionistico perché costringe il resto del mondo a rinviare ogni misura restrittiva, pena un rafforzamento eccessivo del cambio. Il dollaro debole ha già indotto la Banca del Giappone a rafforzare il Qe, la Bce a farsi ostentatamente vaga sul tapering e la Banca d’Inghilterra a mantenere i tassi allo 0,25% nonostante un’inflazione prossima al 3%. Come ha scritto Franco Bruni su “La Stampa”: “Come si fa ad interrompere gli acquisti di titoli e alzare i tassi quando l’euro continua a rafforzarsi?”. Ma non mancano i rischi. “Il super euro – continua Bruni – può creare incertezza dannosa perla crescita se esasperata dalla speculazione. Il disordine dei cambi può diventare disordine dei tassi e dei prezzi di Borsa. La volatilità finanziaria può creare instabilità, frenare progetti di investimento, produzione e occupazione”.
Insomma, bisogna vigilare perché il sogno di mezza estate non si traduca nell’incubo d’inverno.