È riemerso come un fiume carsico. Qualcuno se ne era dimenticato o ne aveva perse le tracce. Altri avevano addirittura accusato il governo, insipiente dopo gli annunci dell’anno scorso perché da tempo non aveva dato segnali di chiaro avanzamento sul tema. Invece da ieri il nucleare è ritornato di prepotenza a riempire le pagine dei giornali.
Ci sono le centrali, almeno quattro, la prima entro dieci anni. Ci sono le utilities interessate a costruirle e gestirle, Edf ed Enel. C’è una forte spinta governativa, supportata dal governo di uno dei paesi leader mondiali nel nucleare. Tutto fatto, e a sorpresa, dunque? Non proprio.
L’accordo del 24 febbraio è certamente un punto concreto e decisivo verso il passaggio del nucleare dall’opzione ipotetica all’opzione reale. Destinato a fungere da motore di spinta e da volano per tutto il sistema. Ma il numero dei nodi da sciogliere è ancora notevole.
Occorrerà in primis comprendere non solo il contenuto sostanziale degli accordi siglati tra Italia e Francia, ma soprattutto le modalità realizzative di tali accordi.
Il protocollo di cooperazione sull’energia nucleare, dichiara il ministro Scajola, prevede «un Comitato Esecutivo che definirà in tempi brevi nuove collaborazioni e amplierà quelle esistenti tra i nostri Paesi: tra operatori delle centrali nucleari, tra imprese di costruzione nucleari, tra agenzie di sicurezza nucleare, tra agenzie di sviluppo tecnologico, tra sistemi universitari».
Sarà importante verificare in quali condizioni verranno implementate tali collaborazioni, come ci presenteremo al tavolo di lavoro. Come saranno supportate le nostre aziende, quelle già “nucleari” e quelle interessate ad entrare in questo business? Come saranno salvaguardati o potenziati il loro know-how e le loro partnership internazionali (ad esempio quelle di Finmeccanica con gli Usa)? Come sarà implementata la nostra agenzia di sicurezza? Che ne sarà dell’Enea e degli altri attori della ricerca e sviluppo sul nucleare? E l’università (che peraltro oggi ha ancora più studenti nucleari di molte altre università nucleari europee, ma non ha personale e risorse lontanamente comparabili)? Il tutto “senza oneri aggiuntivi per le casse dello Stato” come richiede Tremonti?
Alcune domande dovrebbero trovare principio di risposta nel decreto legge Sviluppo in approvazione al Senato.
Lo stesso Scajola ha dichiarato, a valle della firma dell’accordo con i francesi, che «noi intendiamo usufruire delle tecnologie più moderne, quindi dare spazio a tutte le imprese che vogliono impiantare centrali nel nostro Paese; ci sono altri contatti, perché il mercato deciderà cosa fare, il governo dà gli orientamenti».
È una posizione che mostra una visione di prospettiva, in sintonia con quanto già fatto da altri Paesi (dalla Cina agli Stati Uniti alla Finlandia all’Inghilterra). Ma oltre agli aspetti toccati dal protocollo, quali sono i punti critici che devono essere affrontati, in un lavoro che deve quindi procedere in parallelo su più fronti? Ne ricordiamo alcuni tra i più sensibili.
Innanzitutto la condivisione della decisione e della strategia di ritorno al nucleare con la popolazione, non solo con quella locale che vive in prossimità dei futuri siti nucleari; molto potrà fare la politica (soprattutto potrebbe fare in negativo… quindi serve particolare attenzione ed è necessaria una sostanziale condivisione bipartisan); molto dovrà fare chi avrà interessi diretti nel business (utilities, industrie energivore), supportando l’ideazione e la realizzazione di strategie di comunicazione e divulgazione, sino alle visite guidate della popolazione presso siti e centrali già operanti.
Poi i vantaggi diretti (ad esempio in bolletta) ed indiretti (ad esempio il costo dei prodotti più energy-intensive) per i consumatori, e non solo per le industrie, senza i quali il nucleare verrebbe percepito come uno sforzo e un sacrificio molto impegnativo che non ha mantenuto le promesse, con ovvii contraccolpi politici.
Infine la funzione del settore nucleare quale volano per l’economia, l’industria e la ricerca e sviluppo: come evidenzia il recentissimo accordo (siglato tra due capi di governo e non tra due aziende), il nucleare non è (solo) un semplice affare di mercato, ma è principalmente una mossa strategica per un’intera nazione, che deve essere giocata in tal senso, con l’obiettivo di ottenere il massimo per i propri cittadini, aziende, organizzazioni; il mercato e la competizione sono funzionali a questo scopo.
Come già suggerito in un precedente intervento su ilsussidiario.net, la nostra non è un’avventura sui generis, abbiamo a disposizione un interessante parallelo con il Regno Unito, con analogie e differenze, comunque un termine di paragone che sarà utile tenere presente per valutare come si svilupperanno le nostre scelte:
Abbiamo un mercato nucleare potenziale interessante (stimabile oggi in 40 miliardi di euro, ovvero 10-15 reattori per circa 15mila MWe, che interessa ai francesi ma non solo), come assai interessante è quello degli inglesi;
Gli inglesi hanno venduto British Energy ad Edf, noi rispetto a loro abbiamo il vantaggio potenziale di avere Enel ancora “a guida nazionale”;
Gli inglesi hanno una industria nucleare più “in forma”, avendo ancora in funzione 19 reattori, la nostra non è scomparsa ma ha bisogno di un deciso supporto;
Gli inglesi hanno ricostruito una adeguata struttura legislativa-normativa e rinvigorito le strutture fondamentali (es. Hse ovvero l’authority di sicurezza), noi stiamo tentando di percorrere questa strada partendo da condizioni decisamente più sfavorevoli (es. inadeguatezza delle leggi e normative attuali, decadimento delle dimensioni e competenze del nostro organismo di sicurezza);
Gli inglesi metteranno in competizione diversi prodotti (tre reattori saranno licenziati e quindi disponibili sul mercato per chi vorrà costruire e gestire centrali elettronucleari), con l’intenzione di strappare le condizioni migliori, noi ad oggi abbiamo stretto un patto strategico con un unico player;
Gli inglesi hanno attivato da tempo un ampio, chiaro e pragmatico processo di condivisione sociale della loro scelta strategica, noi non abbiamo ancora identificato il percorso più idoneo.
Il dado è tratto. Ma c’è davvero da tirarsi su le maniche.