Il cambiamento nel settore media si sta facendo più accelerato e intenso ovunque, sempre più spesso caratterizzato da svolte secche, da passaggi duri. Non ha sorpreso leggere — quasi nelle stesse ore, negli ultimi giorni — del vasto riassetto deciso dalla Sante Sede per le proprie strutture di comunicazione e dell’escalation sindacale interna ai Periodici San Paolo, una delle maggiori realtà dell’editoria cattolica in Italia.
Il piano annunciato dal monsignor Dario Viganò — prefetto della Segreteria per le Comunicazioni in Vaticano — si è presentato come primo tentativo di risposta. La giornata di digiuno osservata ieri dai giornalisti di Famiglia Cristiana e dalle testate del gruppo San Paolo è invece ancora una domanda, dai toni drammatici: entro quella crisi aziendale ma anche oltre. Che futuro hanno i media di ispirazione cattolica?
Il riordino delle strutture di comunicazione vaticane muove anzitutto dalla constatazione che il digitale è oggi il canale più efficiente ed efficace per chi produce informazione e per chi ne è utente. A quasi cinque anni dall’elezione di Papa Francesco, è un approccio che non stupisce: la Santa Sede, anche nel campo della comunicazione sociale, vuole operare con gli strumenti che garantiscano il massimo dell’accessibilità (fino all’ultima periferia), ma evitando quanto più possibile costi non giustificati, sprechi inutili, doppioni, rendite. Sono del resto trascorsi già più di due anni da quando l’enciclica Laudato si’ ha additato all’intera Chiesa — all’intero pianeta — le vie di un’economia sobria e rispettosa dell’ambiente, competitiva soprattutto nella valorizzazione del lavoro umano e dell’imprenditorialità (non certo nello sfruttamento del lavoro altrui o nella speculazione capitalistica). La scelta di razionalizzare in via strutturale i media vaticani appare dunque figlia di una duplice posizione: nella Chiesa anche la comunicazione resta “servizio” e d’altronde essa opera su un terreno oggi caratterizzato da forti riduzioni dei costi che si traducono in riduzione dei prezzi per l’utente finale.
Alcune scelte operative del piano approvato dai cardinali della Prefettura per le comunicazioni sono apparse sicuramente impegnative. E’ spiccata la decisione di congelare la storica testata dell’Osservatore Romano: voce giornalistica della Santa Sede da 156 anni, un brand di profilo globale prima e dopo l’avvento di radio, tv e web. Anche il format essenzialmente cartaceo dell’Osservatore, un mix peculiare di attenzioni della Chiesa sulle più diverse attualità mondiali, sarà ora rielaborato nella newsroom unica, destinata a centralizzare e coordinare la produzione dei contenuti giornalistici. Questi saranno canalizzati principalmente sul nuovo portale web www.vaticannews.va, sotto la direzione editoriale unica della Prefettura.
Innovazione tecnologica e innovazione organizzativa camminano nella stessa direzione e promettono impatti non marginali su linguaggi e contenuti giornalistici elaborati dal centro di gravità del magistero e della pastorale della Chiesa. Una sfida forte, senza copione scritto, che accetta tutti i rischi dell’uscita dal porto e dell’abbandono delle rotte conosciute per affrontare gli oceani digitali: fra piattaforme monopoliste e fake news, fra cyberguerre e manuali Isis, fra pornografia e vendite online di tallio. Come su molti altri fronti, non si potrà mai accusare Papa Francesco di non aver indicato la strada, avviandosi per primo.