Voto in Francia per l’Assemblea nazionale, voto in Italia per oltre mille comuni tra cui città come Genova e Palermo. Se Macron conferma di aver conquistato il cuore dei francesi e di aver spazzato via i vecchi partiti (assieme a Melenchon), a casa nostra la tendenza è opposta: nelle maggiori città finiscono al ballottaggio i candidati espressione di centrodestra e di centrosinistra, coalizioni tornate sufficientemente unite almeno per affrontare una tornata elettorale.
I risultati completi si avranno soltanto in mattinata, tuttavia alcune tendenze si possono cogliere. Non ci sarebbero sindaci vincitori al primo turno (tranne Leoluca Orlando a Palermo), e questo confermerebbe che in questo momento in Italia non c’è un partito dominante. Il Pd non sfonda ma resiste, il centrodestra ritrova una certa compattezza. Lo “schema Toti” (dal nome del governatore ligure che patrocina il ritorno all’alleanza stabile con la Lega e Fratelli d’Italia) regge perché manda i propri candidati al ballottaggio a Genova, Padova, Verona, Taranto. Anche a Palermo (senza Lega) il centrodestra arriva al secondo turno. Significa che l’elettorato in sostanza premia il ritorno all’unità.
I 5 stelle sono invece andati male, malissimo. Gli exploit dell’anno scorso di Roma e Torino si confermano dei casi isolati, provocati più dalle divisioni altrui che dal peso effettivo dei grillini. Quasi dappertutto il movimento sta largamente sotto il 20 per cento. Paradossalmente vince chi si sgancia dal carrozzone di Grillo, come Pizzarotti a Parma. Premia non la fedeltà alla linea dettata dall’alto, ma l’amministrazione, la presenza concreta sul territorio, la capacità di dare risposte reali. La debolezza della Raggi nella capitale e della Appendino in Piemonte stanno mettendo in guardia molti loro elettori.
Il tonfo pentastellato darà sicuramente fiato al Pd che vede nel M5s il nemico più pericoloso e potrebbe fornire l’occasione a Pd e Forza Italia, e magari Lega, per riannodare i fili della legge elettorale. Se il voto a settembre è ormai da escludere, potrebbe riaffacciarsi l’ipotesi di novembre, anche se il Parlamento si trovasse a metà del guado nell’iter di approvazione della legge di bilancio. Per Renzi è troppo ghiotta l’occasione di approfittare della flessione grillina e non vuole concedere un’opportunità di ripresa.
Potrebbe anche essere che i 5 stelle abbiano perso i voti dei delusi del centrodestra che si sarebbero riavvicinati alla vecchia coalizione. Assieme al crollo dei grillini, il centrodestra che rialza la testa è l’altro dato che emerge dal voto di ieri. E qui le urne europee dovrebbero insegnare qualcosa alla coalizione che sta faticosamente cercando di rimettere assieme i cocci. Gli entusiasmi antieuropei della Brexit e l’approdo della Le Pen al ballottaggio sembrano lontanissimi: alle elezioni britanniche l’Ukip non ha toccato palla e il Front National ieri è precipitato sotto il 15 per cento, penalizzato anche dalle liti interne. Il “lepenismo”, se mai è stato una minaccia reale e non solo mediatica, oggi appare in disarmo. La lezione per Salvini è chiara: l’estremismo paga poco, i bracci di ferro ancora meno, mentre ritrovare una coesione attorno a personaggi credibili e moderati fa riguadagnare voti. Ma oggi probabilmente, quando si sapranno anche i voti delle singole liste, Lega e Forza Italia riprenderanno i battibecchi.