Ha mostrato pazienza e sangue freddo Silvio Berlusconi. Ma la sua pazienza ha un limite. Ha saputo piegate le resistenze dei democratici al governo di larghe intese che gli era parso l’unica soluzione realisticamente possibile sin dal giorno successivo alle elezioni di febbraio, ma ora sta scontrandosi con lo storico antiberlusconismo della sinistra.
La questione della convenzione era nei patti di governo, inutile negarlo. E fra le clausole segrete dell’accordo stretto con la mediazione e la benedizione del Quirinale c’era con ogni probabilità anche la presidenza di questo organismo per Berlusconi medesimo.
La levata di scudi alzatasi da casa democratica ha spiazzato il Cavaliere, cancellando rapidamente la soddisfazione per la vittoria politica riportata, e schiaffandogli in faccia per l’ennesima volta la completa assenza di legittimazione reciproca fra gil schieramenti. “È molto difficile per la sinistra italiana venir fuori dallo stato precedente, di odio nei nostri confronti”, ha detto ai microfoni amici del Tg4. “Ho la speranza che stando al governo insieme possiamo chiudere questa guerra civile fredda per iniziare la riappacificazione”.
In realtà Berlusconi la speranza la giudica assai più ridotta rispetto a una settimana fa, all’indomani della nascita del governo di Enrico Letta. E questo potrebbe causare seri problemi sino a mettere in forse la vita dell’esecutivo. Su troppe questioni registra fughe in avanti dei ministri democratici: la proposta di Cecil Kyenge di dare la cittadinanza ai figli degli immigrati viene ad aggiungersi alla freddezza sulla cancellazione dell’Imu. La guerra civile fredda dell’antiberlusconismo, per usare le parole dello stesso leader Pdl, non sembra affatto alla fine.
Di particolare rilievo è quindi il richiamo del presidente dei senatori “azzurri”, Schifani, che ha chiesto a Letta di richiamare i suoi ministri alla sobrietà ed alla concertazione sulle decisioni del governo per non incorrere in gravi rischi per la vita stessa dell’esecutivo. Né hanno lasciato più tranquilli i dirigenti pidiellini le parole del premier ospite di Fabio Fazio: è apparso contraddittorio quel “torniamo subito al Mattarellum”, spiegato da Letta come il modo di consentire che “male che vadano le cose, si vada a votare con una legge che intanto restituisce al cittadino la possibilità di scegliere i propri parlamentari”. È sembrata quasi una pietra tombale al progetto di convenzione. E così fra Arcore e Roma sono intercorse subito telefonate preoccupate sulle reali intenzioni di Letta e del Pd, perché se a qualcuno a Largo del Nazareno balenasse l’idea di tornare al voto con la vecchia legge non appena sistemata la partita interna per la segreteria (cioè nella primavera del prossimo anno), allora la reazione del Pdl potrebbe essere imprevedibile, sino a una rottura, che oggi Berlusconi non vuole, né auspica.
Nonostante la pressione dei falchi del suo partito il leader del centrodestra continua ad essere convinto che questa legislatura potrebbe davvero essere costituente, e in questo sforzo di riscrittura delle regole vorrebbe ritagliarsi un ruolo di primo piano. Il prossimo banco di prova delle reali intenzioni dei democratici sarà l’elezione in settimana dei presidenti delle commissioni parlamentari. Se non vi sarà pari dignità fra Pd e Pdl, e se perdureranno troppi veti sugli esponenti di spicco del partito azzurro, allora il cielo sopra la testa di Enrico Letta potrebbe farsi improvvisamente scuro, coperto di nubi che portano tempesta.
Dalla sua Letta ha il buon rapporto con Angelino Alfano, una sorta di patto generazionale fra i due, che ha consentito di riassorbire ad esempio il caso Biancofiore. Tutto questo però potrebbe non bastare. La principale incognita riguarda proprio il Pd, dove non si sa oggi chi comandi. A fine settimana l’assemblea che sceglierà quale soluzione mettere in campo per il dopo-Bersani (segretario-traghettatore verso il congresso, o mandato pieno) darà di sicuro un contributo di chiarezza alla situazione. Bisognerà vedere se sarà un contributo a stabilizzare la fragile barca del governo, oppure no.