«Se come ha detto il premier sono pronte azioni coraggiose riguardo le liberalizzazioni, speriamo che non vengano limitate a farmacisti e tassisti. Per la piega che ha preso il dibattito pubblico in Italia, oggi ci sono segnali della determinazione su questo tema del governo, però è abbastanza chiaro che i problemi non riguardano solo i settori delle farmacie e dei taxi, certo temi importanti, ma che non rappresentano il cuore dell’economia del nostro Paese. Il governo dovrebbe quindi mettere in agenda una serie di azioni che attengono sia il mondo delle professioni nel suo complesso, sia la migliore forma di liberalizzazione, come per il comparto delle poste, dove quella fatta finora è assolutamente insufficiente. Nello stesso tempo, il governo dovrebbe realizzare quella che potenzialmente è la più importante di tutte le liberalizzazioni, cioè la semplificazione degli oneri di carattere amministrativo o regolatorio che pesano sulle singole imprese italiane». Questo il parere di Alberto Mingardi, Direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni, intervistato da ilsussidiario.net sui possibili provvedimenti in tema di liberalizzazioni nella “fase due” allo studio del Governo Monti.
Che cosa potrebbe realmente cambiare?
È ancora difficile da dire, perché finora non abbiamo ancora letto nulla di ben definito su quelli che sono i piani del governo, quindi sarà necessario attendere il Consiglio dei ministri. Per adesso questa enfasi su taxi e farmacie in una certa misura appare anche abbastanza deludente: sono temi che si potrebbero affrontare in modo diverso, agendo bene e creando opportunità, ma nello stesso tempo è chiaro che se da una parte abbiamo il peso di una manovra certamente recessiva che deprime l’economia del Paese, con il governo che cerca di utilizzare riforme a costo zero per spingere un po’ la crescita, allora forse bisogna pensare alla presenza di una legislazione troppo pervasiva per essere amica della crescita economica. Si parla di “semplificazione”, ma quello che c’è dietro di certo così semplice non è, perché bisogna studiare la normativa, sapere dove tagliare. Credo che tutti abbiamo un elenco delle “follie” normative a cui siamo sottoposti in Italia, e forse il governo dovrebbe cominciare da lì.
Quanto è difficile però risolvere il tema delle liberalizzazioni?
La questione delle liberalizzazioni e il fatto che le categorie oppongano resistenza riguarda in qualche modo il problema di come funziona la nostra democrazia: sappiamo tutti che nonostante si basi sulla regola della maggioranza, in realtà per come è fatta i gruppi di interesse organizzati hanno molto spesso potere di veto su provvedimenti che li riguardano. È quindi molto difficile realizzare innovazioni di carattere normativo che vadano a vantaggio dei consumatori, che sono per così dire una “massa informe”: i consumatori non si identificano come tali quando si guardano allo specchio la mattina e non votano come tali, mentre i tassisti, i farmacisti e gli avvocati e così via, sono gruppi coesi, omogenei che riescono anche a spostare il consenso e a influire sul gioco politico. Detto questo, la questione è più ampia e purtroppo c’è un problema nel modo in cui molto spesso le liberalizzazioni sono state presentate finora.
Si spieghi meglio.
Le liberalizzazioni sono state presentate alla stregua di politiche di carattere ridistributivo e il punto, anche nobile e giusto, che in più di un’occasione è stato fatto si basa sul fatto che bisogna liberalizzare per rimuovere privilegi ingiusti. In realtà, la scommessa sulla quale è coinvolto tutto il Paese, consumatori ma anche produttori, è quella di tornare a crescere e di vivere assieme la sfida di un sistema economico più efficiente e più aperto all’innovazione. Per fare questo non è utile, specie in una situazione come quella in cui oggi ci troviamo, concentrarsi su una singola categoria, quindi è necessario mettere in campo un’idea di liberalizzazione dell’economia italiana nel suo complesso, chiedendo a tutti di rinunciare a quel che resta di privilegi pseudo-feudali. Non per colpire il privilegio in sé, ma per trovare nuovi modi più efficienti e più sensati di produrre gli stessi beni e gli stessi servizi.
(Claudio Perlini)