Il decreto legge sulla spending review che a breve dovrebbe essere varato dal Consiglio dei ministri prevede innanzitutto diversi pesanti interventi sulla sanità, che vanno dalla diminuzione della spesa farmaceutica a un’ingente riduzione delle spese per le prestazioni in convenzione con le strutture private e sui contratti in essere di appalto e fornitura beni e servizi al sistema sanitario nazionale, fino allo scioglimento di alcuni enti considerati inutili. Il ministero della Sanità conta di risparmiare in questa seconda metà del 2012 almeno un miliardo di euro e circa 1,6 miliardi all’anno dal 2013 in poi. In tutto, sommando i tagli già previsti dal decreto Salva Italia di dicembre, si arriverebbe dunque a circa 8 miliardi di euro risparmiati nel triennio. Nonostante le vivaci proteste di Regioni, sindacati, aziende fornitrici e farmacisti, con questi ultimi che minacciano la serrata, il governo sembra intenzionato a non fermarsi. Insieme a Elio Borgonovi, professore di Economia delle aziende sanitarie e analisi del settore sanitario all’Università Bocconi, cerchiamo di capire i maggiori effetti, ma anche i principali rischi di questa operazione.
Professore, cosa può dirci delle varie misure previste dal governo?
In questi casi è sempre molto difficile fare previsioni, ma possiamo comunque commentare alcune ipotesi. Per quanto riguarda la riduzione della spesa farmaceutica è chiaro che si riuscirà a risparmiare qualcosa, ma potrebbero anche nascere problemi riguardo all’immissione sul mercato italiano di farmaci innovativi. Nonostante questo, sembra che la norma preveda la possibilità di ricorrere a farmaci anche all’estero qualora questi siano assenti sul mercato italiano.
Come giudica la forte riduzione delle spese per le prestazioni in convenzione con le strutture private?
Questo particolare intervento dovrà essere gestito attentamente dalle Regioni e dalle Asl, che dovranno selezionare in modo puntuale tutte quelle strutture capaci di erogare servizi di qualità a cui quindi è consigliabile non ridurre la spesa. Al contrario, dovranno essere individuate le strutture che effettivamente giocano sugli sprechi e su situazioni di particolare privilegio.
Le farmacie ospedaliere dovrebbero poi avere la possibilità di preparare dosi farmacologiche personalizzate per i pazienti, così da evitare sprechi. Cosa ne pensa?
Una decisione del genere richiede un’attenta verifica sulle diverse farmacie per assicurarsi che siano effettivamente in grado di svolgere questa attività con il personale oggi disponibile. A mio giudizio, infatti, in molti casi questo non sarà possibile, visto il blocco del turn over nella sanità.
Insomma, quali sono i rischi maggiori di questa spending review?
Interventi operati dall’alto in questo modo possono anche produrre degli effetti di immagine nel breve periodo, ma rischiano poi di demotivare le diverse strutture, le Asl e le stesse Regioni, che si vedono vincolate da provvedimenti centrali. Se si elimina ogni tipo di stimolo dall’intero sistema c’è il forte rischio che nel medio periodo, quindi fra qualche anno, si riducano i livelli assistenziali e si vadano invece a generare situazioni di grande difficoltà. Questo è il grande rischio della spending review sulla sanità.
A quali alternative si poteva pensare a suo giudizio?
Il blocco di misure previsto ha in sé una sorta di razionalità, anche se dal mio punto di vista sarebbe stato più efficace responsabilizzare direttamente i direttori delle Asl e delle aziende ospedaliere stabilendo degli obiettivi di contenimento della spesa ed eliminando alcuni vincoli. Esistono molti casi in cui si potrebbero, ad esempio, aggregare o addirittura eliminare delle divisioni, dei dipartimenti o dei reparti che mostrano livelli di attività evidentemente incompatibili con la qualità del servizio.
Ma è reale il rischio di vedere ridotti importanti servizi prima garantiti?
Se il governo sceglie di partire da un’idea di contenimento della spesa, il rischio di veder ridotti i servizi è effettivamente molto elevato. Bisognerebbe invece partire da un’idea di razionalizzazione dei servizi attraverso meccanismi di responsabilizzazione nei confronti di chi gestisce le diverse strutture. E’ ormai chiaro che solo razionalizzando i servizi si ottiene l’equilibrio di bilancio e il contenimento della spesa, non viceversa. Al contrario, se si decide di contenere la spesa per poi razionalizzare, nel medio e nel lungo periodo si rischia davvero di provocare danni importanti.
Quanto soffriranno le regioni, in particolare quelle che si trovano già con piani di rientro della spesa sanitaria?
Parlando di regioni e a conferma di quanto detto finora, vorrei fare un esempio: la Sicilia, da tempo in piano di rientro, attraverso il lavoro di un assessore molto determinato che ha coinvolto le Asl e operato interventi di altro tipo, è riuscita in circa tre anni e mezzo a ridurre un disavanzo di 675 milioni praticamente fino al pareggio. Questo a dimostrazione del fatto che solo attraverso il coinvolgimento delle persone si possono individuare gli spazi per ridurre gli sprechi senza però ridurre i servizi, e lo stesso può valere per tutte le altre regioni. In caso contrario, verranno posti dei vincoli dall’alto che nel tempo non faranno altro che impedire un livello adeguato di servizi. Ecco allora che tra due anni potremo anche avere una riduzione di due miliardi di euro di spesa, ma con una situazione sociale ancora più grave di quella attuale.
Come commenta allora le decisioni prese dal governo?
Non vorrei che interventi del genere siano rivolti maggiormente a tranquillizzare i mercati finanziari che gli stessi cittadini. Ho molti dubbi sul fatto che un sistema del genere possa reggere non solo nel lungo periodo, ma anche nel medio. Per quanto mi riguarda avrei quindi immesso nel sistema non tutta una serie di vincoli derivanti dalla spending review, ma ad esempio un meccanismo basato sull’individuazione dei risparmi e il successivo reinvestimento di questi all’interno dello stesso sistema. In questo modo credo si potrebbero spingere maggiormente regioni e aziende ospedaliere a un evidente risparmio e responsabilità, facendo scattare un meccanismo in cui lo sviluppo è strettamente legato al risparmio.
Crede quindi che le misure del governo potranno rivelarsi pericolose?
La sanità è un settore molto promettente in tema di sviluppo. Se ci pensiamo, i servizi di tutela della salute sono ad elevata intensità di occupazione, di ricerca, di innovazione e di conoscenze. I settori collegati alla sanità, sia farmaceutico che biomedicale, sono a loro volta settori con uguali importanti caratteristiche. Ecco perché è necessario tagliare, ma anche reinvestire, attraverso un intervento che lancerebbe un messaggio senza dubbio diverso da quello che sta comunicando ora il governo, certamente molto meno motivante e stimolante.
(Claudio Perlini)