La pausa ferragostana, con la sospensione della lotta parlamentare in aula, riconduce la politica sul terreno delle riforme istituzionali da un lato, con un Calderoli sempre più protagonista della partita, e su quello della riorganizzazione interna dei partiti dall’altro, con il Pdl che a settembre si prepara a muovere i primi passi per dare forma alla nuova struttura partitica.
Sul terreno delle riforme il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli fa sapere di aver messo a punto una sua personale “commissione Attali”, un “pensatoio bipartisan” sulle riforme del quale fanno parte, tra gli altri, anche l’ex ministro Franco Bassanini (Pd), che della vera commissione Attali era effettivamente membro. «Non ho avuto alcun dubbio – fa sapere Bassanini – nell’accettare la proposta di Calderoli perché si tratta di un terreno su cui è impossibile rifiutare il confronto. Sulle riforme costituzionali, piaccia o non piaccia a qualcuno, è giusto confrontarsi. Il confronto è necessario per non dare alla maggioranza alibi per fare da sola visto che l’opposizione rifiuta di confrontarsi». E, sempre nell’area del centrosinistra, anche l’ex presidente della Camera Luciano Violante accoglie di buon grado le aperture della Lega, anche sul tema del federalismo fiscale. «Trovare l’intesa tra maggioranza e opposizione sul federalismo fiscale è possibile», secondo Violante, a patto di mettersi d’accordo sulla «quota di risorse che resta sul territorio e quella che va invece a livello nazionale», e questo potrebbe essere un buon viatico per un dialogo anche sulle riforme istituzionali.
Quel che è certo è che Calderoli intende andare avanti a spron battuto sulla strada del dialogo. «Del colore delle maglie – dice con la consueta schiettezza il ministro leghista – non me ne frega più niente. L’importante è fare le riforme. Nessuno ci perdonerebbe un fallimento, allora io vado avanti. Con il Pd parlo tutti i giorni. Ho incontrato l’Udc e anche Di Pietro». Ma è proprio l’alleanza con l’Italia dei Valori che da altri viene vista come il maggiore ostacolo sulla via del dialogo. «Per il dialogo sulle riforme – avverte infatti il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti – bisogna essere almeno in due. Noi l’abbiamo sempre voluto, è stato Veltroni a farsi travolgere da un capriccio estivo per Di Pietro. Veltroni deve liberarsi del ras del giustizialismo e tornare a dialogare perché le riforme servono e il Paese vuole il dialogo».
Intanto il Pdl è impegnato anche sul fronte della costruzione delle strutture del nuovo partito. Il calendario a breve prevede infatti una riunione della commissione statuto il 18 agosto (che potrebbe però subire un rinvio) e quella del comitato costituente il 10 settembre. Tema scottante è il solito: la leadership. Se nessuno mette in dubbio il ruolo guida dei presidenti del Consiglio e della Camera Berlusconi e Fini, sono molti a domandarsi se non necessaria però una figura, diversa, di segretario del partito. Anzi, secondo il leader della Dc per le Autonomie Gianfranco Rotondi è proprio qui il punto: «I leader del Pdl sono Berlusconi e Fini, ma proprio per questo un segretario serve. Siamo tutti al governo e nelle istituzioni, sarebbe negativo se il partito si identificasse solo col nostro lavoro». E sul nome del possibile segretario, in pole position c’è quello del presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, uno dei primi a sollevare il problema della ricerca di un reggente per il Pdl.
Ma sono in molti a non pensarla così: il sottosegretario Paolo Bonaiuti, ad esempio, secondo cui l’ipotesi di un reggente è solo una delle «fantasie di mezza estate»; e, per An, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, che in un’intervista ieri al Riformista ha detto chiaramente che «il leader è Berlusconi» e che «non necessariamente serve un segretario».
La partita, come risulta evidente, è ancora decisamente aperta.