Pochi giorni ancora, e l’approssimazione che sta connotando l’attuale fase politica, in cui tutte le opzioni sono possibili, lascerà il posto a un quadro nitido; tra sabato e domenica Monti darà l’annuncio ufficiale della sua discesa in campo. Allora, si capirà se si candiderà, in che forma (direttamente o concedendo il suo nome in uso a una lista o una coalizione di liste) e con chi. Nel frattempo, sembra che per lui la campagna elettorale sia già iniziata. «Penso che sarebbe irresponsabile dissipare i tanti sacrifici che gli italiani si sono assunti. Tredici mesi fa l’Italia aveva febbre alta e non bastava un’aspirina, ci voleva una medicina amara non facile da digerire ma assolutamente necessaria per estirpare la malattia. Siamo solo all’inizio delle riforme strutturali», ha dichiarato intervenendo di fronte alla platea degli operai Fiat dello Stabilimento di Melfi, in occasione del lancio di due nuovi modelli. Paolo Franchi ci spiega qual è lo scenario più verosimile.
Monti competerà per Palazzo Chigi?
Escluderei, tanto per cominciare, una sua candidatura diretta. Ma, nella campagna elettorale, ci sarà, eccome.
Perché esclude la candidatura diretta?
Perché è senatore a vita
Andreotti, nel 2001,fondò Democrazia Europea e si candidò.
Certo. Ma, posto che l’ostacolo non sia insormontabile, non dobbiamo dimenticare che il suo gesto rappresentò uno strappo bello e buono rispetto alla prassi. L’ipotesi, inoltre, nel caso di Monti sarebbe complicata dalla piega che assunsero gli eventi all’indomani della caduta dell’ultimo governo Berlusconi: il professore della Bocconi, infatti, fu nominato senatore a vita pochi giorni prima di ricevere l’incarico di presidente del Consiglio. In quelle circostanze drammatiche, si ritenne che la nomina senatoriale avrebbe rappresentato la garanzia che, alla conclusione della legislatura, non si sarebbe derogato dall’idea in base alla quale gli schieramenti politici avrebbero ripreso a fare il loro mestiere a pieno titolo.
Posto che non si candidi, quindi, che alternative si prospettano?
Con probabilità, ci saranno diverse liste che correranno sotto le sue insegne. Che siano una, due o tre, oppure una sola al Senato, e diverse alla Camera, poco conta. Così come il giorno in cui scioglierà le riserve, e comunicherà le sue intenzioni. Potrebbe essere sabato, ma anche domenica. L’importante è ciò che dirà.
Cosa intende?
Quel giorno, con ogni probabilità, indicherà un’agenda per la prossima legislatura. Che non consisterà unicamente nel mantenimento degli impegni assunti e nell’invito e proseguire quanto fatto finora, ma nell’individuazione di una serie di riforme e di provvedimenti ben più radicali, attraverso cui trasformare il Paese. Sarà attorno a questo documento che si produrrà l’aggregazione di realtà anche tra loro molto diverse, principalmente quelle che animano attualmente il panorama centrista e i fuoriusciti del Pdl.
Quanto potrebbe ottenere un’aggregazione del genere?
Difficile stabilirlo. Anche perché, spesso, le proiezioni vengono effettuate sulla base degli indici di gradimento personale nei confronti del presidente del Consiglio. Una cosa ben diversa dalle previsioni circa una coalizione guidata da lui.
Sembra che, comunque vada, potrebbe impedire al centrosinistra di conquistare il Senato.
Guardi, credo che Bersani, anche nel caso in cui riuscisse a ottenere una maggioranza pure a Palazzo Madama, cercherebbe una qualche forma di intesa con Monti. Se, invece, conquistasse solo la Camera, l’accordo sarebbe pressoché obbligato. Non è escluso, quindi, che l’incarico possa essere nuovamente conferito a Monti. E che, dopo uno o due anni, ceda il posto a Bersani per assumere un ruolo di prestigio in Europa. Il fatto che la campagna elettorale di Monti sarà, presumibilmente, dai toni contenuti potrebbe facilitare la trattativa.
I recenti interventi di Napolitano potrebbero agevolare l’ipotesi?
Quando il presidente della Repubblica ha affermato che l’incarico sarà conferito in seguito alle consultazioni, e non automaticamente al leader del partito che arriverà primo alle elezioni, si è limitato a puntualizzare i termini della questione rispetto alla prassi costituzionale. Ha semplicemente ammesso la possibilità, laddove al Senato non vi fosse un maggioranza. In tal senso, nella lettera alla Stampa di mercoledì, si è riferito implicitamente a due precedenti: Pertini conferì l’incarico di presidente del Consiglio prima a Spadolini e, in seguito, a Craxi (due volte) perché, all’epoca, al partito di maggioranza relativa, la Democrazia Cristiana, per una serie di problemi interni sarebbe stato impossibile esprimere un premier.
(Paolo Nessi)