Direttore Giordano, la politica è arrivata alla pausa estiva con un bagaglio di provvedimenti su cui poter giudicare l’azione del governo, ultimo e più importante la manovra economica triennale: qual è allora il giudizio che si può dare sull’operato di questo governo uscito così nettamente vittorioso dalla tornata elettorale?
Anche senza il paragone con i primi disastrosi 100 giorni del governo Prodi, in cui volavano i piatti, il giudizio è oggettivamente positivo. Sono stati risolti alcuni problemi importanti, a cominciare ovviamente dai rifiuti di Napoli, che è resta un po’ il fiore all’occhiello di questo esecutivo. Ma soprattutto è stata data l’impressione di un governo in grado di decidere. È un po’ quella l’indicazione che gli elettori avevano dato: dopo due anni di incertezze e di incapacità di decidere, c’è stata un po’ una rivoluzione. Questo anche al di là dei contenuti, su cui poi si possono fare molte osservazioni, e anche noi ne abbiamo fatte, soprattutto sulla manovra; ma il fatto che la manovra sia stata anticipata a luglio con questa rapidità e senza gli assalti alla diligenza che occupavano tutto l’autunno, è stata una dimostrazione di grande capacità decisionale.
Il settimanale Newsweek in effetti ha parlato addirittura di miracolo in 100 giorni.
Il riconoscimento del Newsweek, per quanto sorprendente perché viene da un settimanale che è sempre stato piuttosto severo e critico nei confronti del centrodestra italiano, viene però a sancire un dato di fatto, che è indiscutibile. Dal punto di vista dei risultati è indubbio che il governo ha dimostrato di essere un governo capace.
Quali sono invece i punti mancanti, cu cui il governo dovrà lavorare maggiormente?
Rimane innanzitutto la speranza che si arrivi ad un’azione più decisa sul fronte della riduzione fiscale. Inoltre c’è stato un eccesso di tensione politica, che non si è fortunatamente tradotta in difficoltà di governo, ma che si è trasferita in alcuni casi a livello parlamentare: non è accettabile, ad esempio, che una maggioranza così stabile vada sotto, come è successo più volte, in parlamento. Sono proprio gli elettori del centrodestra che non accettano questa cosa.
Come invece secondo lei si sta comportando l’opposizione, il cui ruolo in parlamento è comunque fondamentale?
Il paradosso è che noi c’eravamo risvegliati dopo le elezioni con l’impressioni finalmente di un Paese normale, con un governo che si andava a costituire in poche ore, ed un’opposizione che accettava il risultato con una serenità che in passato non c’era stata. Questo nel giro di qualche settimana, a causa della debolezza di Veltroni nei confronti dell’avanzata di Di Pietro e dei “girotondi”, si è andato perdendo, mettendo in luce tutta la debolezza di un Pd dalle mille anime, correnti e fondazioni. Ora, in una situazione in cui abbiamo l’autunno liberato dalla manovra economia e che potrà dunque essere dedicato alle grandi riforme, dal federalismo fiscale alla giustizia, non avere un’opposizione seria e stabile con cui confrontarsi, bensì un coacervo ondeggiante da cui in ogni momento emergono anime e pulsioni strane rimane uno degli elementi di maggiore debolezza del nostro Paese in questo momento.
Questo creerà problemi anche dal punto di vista del lavoro per riforme condivise, o su questo ci si può aspettare uno scatto di responsabilità da parte di tutti?
Indiscutibilmente avere un’opposizione che lavora per le riforme sarebbe un bene per tutto il Paese, e si arriverebbe a riforme utili in tempi rapidi e senza rischi di incidenti o passi indietro, come è successo in passato con i referendum. Io non sono un fautore del dialogo per il dialogo, perché il Paese non chiede dialogo, ma riforme. Però sono anche convinto che per fare alcune di tali riforme un minimo di confronto con l’opposizione ci vuole. Detto questo, sono però altrettanto convinto che la debolezza dell’opposizione non possa essere l’alibi del governo: a un certo punto, se l’opposizione non ci sarà, dovrà andare avanti per la sua strada, perché le riforme devono avanzare comunque, anche come uno schiacciasassi, se necessario.
Il Pdl va verso la creazione delle strutture del nuovo partito, e si parla molto dell’ipotesi di un segretario: cosa ne pensa del dibattito intorno a questo punto?
Penso che sia un dibattito utile, perché in effetti una mancanza del centrodestra in questi anni è stata quella di non aver avuto un luogo di crescita democratica della persone e di confronto di idee. Il fatto che nasca un partito e che possa essere un partito vero (con congressi, confronti etc.) è un elemento positivo. Il cammino non dovrebbe peraltro essere lunghissimo, perché dovrebbe nascere per la prossima primavera. Se poi ci sia un reggente, un comitato, un segretario, questo al momento è abbastanza indifferente, dato che la leadership del partito è fortemente riconosciuta nella leadership del governo, e quindi nel presidente Berlusconi. Il problema è dare una struttura vera, e qualcuno che sia in grado di far funzionare questa struttura.
Lei parteciperà al Meeting dal titolo “O protagonisti o nessuno”: qual è la sua riflessione su questo tema, e quale ritiene essere il vero significato della parola “protagonista”?
Protagonista è secondo me chi è in grado di pigliarsi in mano la vita e non farsi vivere dagli eventi. E questo vale in qualunque ambito. La bellezza del Meeting, da quello che ho potuto vedere dal programma, è proprio quello di portare questo concetto di “protagonista” al livello della vita quotidiana. Noi siamo invece abituati, anche un po’ per comodità, a considerare protagonista quello che sta sul palcoscenico, che sia protagonista del film, del reality, della fiction o della vita politica.
In particolare l’incontro a cui lei parteciperà avrà il titolo “quale protagonismo nell’informazione”: i media danno voce ai veri protagonisti del mondo e della società?
Ne parlavo con i miei colleghi proprio qualche giorno fa: vorrei che per una volta, insieme ai grandi protagonisti che occuperanno i titoli durante il Meeting (ci siamo abituati a vedere questo appuntamento anche come la ripresa della vita politica), ci si dia la briga di andare a scoprire anche l’altro volto, quello che molto spesso viene trascurato. Per raccontare davvero il protagonista bisogna proprio cercare quelle persone che non stanno sotto la luce dei riflettori.
Il giornalismo troppo spesso ha invece un po’ il vizio di uscire poche volte dal sentiero per scoprire i veri protagonisti; e il secondo vizio è quello di parlarsi addosso, di essere molto autoreferenziali, rimanendo chiusi tra noi e il Palazzo. Questo fatto di restare chiusi nelle nostre redazioni e nei nostri palazzi è peraltro anche una delle cause principali per cui poi si perde nella vendita delle copie. Bisogna uscire da questo circolo dei palazzi che parlano con le redazioni e delle redazioni che parlano con i palazzi, senza aprire le finestre e andare a cercare i protagonismi che stanno nella vita di tutti i giorni. E scoprire questa vita reale sarebbe conveniente sotto tutti i punti di vista, compreso quello commerciale.