L’Istat ha presentato la revisione dei conti nazionali relativa al triennio 2013-2015. “Sulla base dei nuovi dati, il Pil in volume è cresciuto nel 2014 dello 0,1%, con una revisione al rialzo di 0,4 punti percentuali rispetto alla diminuzione di 0,3 punti percentuali stimata a marzo. Nel 2015 la variazione del Pil in volume è pari a 0,7%, con una revisione al ribasso di 0,1 punti percentuali rispetto alla stima preliminare di marzo che era pari a +0,8%”, si legge nel comunicato dell’Istat. Che subito ha portato il ministero dell’Economia e delle Finanze a diffondere una nota per evidenziare che “il Paese sta crescendo da tre anni ininterrottamente. E il primo anno di segno ‘più’ coincide con l’insediamento del governo Renzi. Evidentemente le politiche economiche avviate dal governo vanno nella giusta direzione e devono essere proseguite”. Senza voler fare polemiche politiche, Luigi Campiglio non sembra essere però ugualmente soddisfatto. Il Professore di Politica economica dell’Università Cattolica di Milano ci spiega infatti che «i numeri stanno lì a dirci che il Paese si è impoverito. Il 40% delle famiglie italiane sta peggio rispetto a cinque anni fa. Dobbiamo cambiare rotta, altrimenti abbiamo dei “più” di crescita asfittici, anemici, su cui litighiamo in un modo disperante, che non ha senso».
Perché si tratterebbe di una discussione senza senso?
Perché noi dovremmo poter tornare in tempi rapidi ai livelli almeno del 2007. Quello che vediamo, però, è che ci stiamo avvicinando al decennale della crisi con un’Europa sostanzialmente paralizzata, perché dopo l’uscita della Gran Bretagna è divisa in due: metà della popolazione ha registrato tra il 2010 e il 2015 una riduzione dei consumi pro capite, l’altra metà invece un aumento. E in cima della lista dei paesi che hanno avuto un danno grave in termini di tenore di vita ci sono Grecia e Italia.
Qual è la causa di questa situazione secondo lei?
Abbiamo avuto un periodo, con il Governo Monti in particolare, di violenta austerità, da cui non ci siamo più ripresi. Eravamo già in fase discendente e da allora non ci siamo più ripresi. E c’è un rischio molto sottile e pericoloso che corriamo.
Quale?
Se anche domani mattina il Governo riuscisse con la bacchetta magica a far funzionare questo Paese, c’è il rischio che le aziende si siano ormai ridimensionate su una taglia un po’ più piccola. E che quindi non ce la facciano a sostenere la domanda. Se andassimo meglio, quindi, avremmo paradossalmente più importazioni che produzione interna. In questo quadro è importante si facciano le battaglie giuste. Quelle fatte finora non state tali: sono state un gigantesco trasferimento di risorse alle imprese perché assumessero a ogni costo. Il problema è che un’impresa sana investe se ha un mercato, se c’è una prospettiva, se c’è anche un clima di ottimismo non di maniera.
Considerando che si avvicina il momento di mettere a punto la Legge di bilancio, cosa si può fare per migliorare la situazione?
Servono investimenti pubblici, perché quelli privati non ripartono. Gli investimenti pubblici stabili, coraggiosi, possono generare occupazione, essere veicolo di innovazione, ridurre il rischio che il Paese sia diventato più piccolo in termini di potenziale produttivo. Mi auguro che il Governo dimostri di aver imparato dagli errori passati. Che non sono quelli che alcuni dicono, come il non aver fatto abbastanza tagli. Anzi, di tagli se ne sono fatti fin troppi in settori delicatissimi come la sanità e l’istruzione.
Stanti i vincoli di bilancio, per poter fare questi investimenti pubblici bisognerebbe utilizzare le risorse che si vorrebbero stanziare per il taglio delle tasse oppure sforare i vincoli stessi…
Per certi versi il taglio delle tasse fa sorridere, perché cosa ci dà? È molto meglio che un’impresa privata cominci a investire seriamente e assuma dei giovani e se li tenga stretti perché un concorrente potrebbe portarglieli via. Questa è la situazione che dobbiamo ricreare. Per quel che riguarda le regole europee, a parte il fatto che c’è chi non le rispetta come la Germania (visto che sfora il 6% di surplus commerciale), dovremmo quanto meno continuare a insistere sulla “golden rule”, per tenere gli investimenti fuori dal computo del disavanzo pubblico. Ritengo la linea degli investimenti preferibile rispetto a quella del taglio delle tasse proprio perché credo anche che troverebbe più ascolto a livello europeo.
(Lorenzo Torrisi)