Si fa un gran discutere, in queste settimane, del referendum relativo alla riforma Renzi-Boschi. Alla base vi sono una molteplicità di fattori, a partire dall’insistito riferimento, di dubbia opportunità, da parte di vari membri dell’Esecutivo alla sua effettuazione quando ancora non era nemmeno concluso il procedimento di approvazione della legge costituzionale. Vi è poi la questione della natura del referendum, uno strumento oppositivo a disposizione della minoranza che rischia invece di tramutarsi in momento plebiscitario, anche per la sostanziale trasformazione che ne ha operato il presidente del Consiglio Renzi, atteggiandolo a più riprese quale “referendum-questione di fiducia”, salvo poi accusare il fronte del “no” di volerlo politicizzare per non affrontare il merito delle proposte.
Non ultima, la questione dello “spacchettamento” del quesito da sottoporre agli elettori, e dell’eventuale praticabilità di una simile soluzione. Il tutto in un quadro politico in rapida evoluzione, anche a seguito della recente tornata di elezioni amministrative, con i contraccolpi sulle forze politiche, in particolare di maggioranza.
Provando, per quanto possibile, a prescindere da tutto ciò, sembra meritare una qualche attenzione il tema del procedimento e delle scansioni previste per il referendum.
I punti di riferimento sono contenuti nella legge n. 352/1970 (“Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo”), il cui Titolo I (articoli 1-26) è appunto dedicato al referendum previsto dall’art. 138 della Costituzione.
Versandosi nell’ipotesi del primo comma dell’art. 138 (approvazione in seconda votazione a maggioranza assoluta ma inferiore ai due terzi di ciascuna Camera), sulla Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016 è stato pubblicato il testo della legge costituzionale approvato dal Parlamento, affinché entro tre mesi un quinto dei membri di una Camera o 500mila elettori o 5 Consigli regionali possano domandare che si proceda al referendum popolare, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 352/1970. Sulle richieste è chiamato a pronunciarsi l’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione, il quale dovrà verificare che la richiesta “sia conforme alle norme dell’articolo 138 della Costituzione e della legge” (art. 12, legge n. 352/1970).
Ad oggi l’Ufficio centrale, in data 6 maggio 2016, ha già dichiarato conformi le quattro richieste finora pervenute, quella depositata il 19 aprile 2016 da parte di 166 deputati (Occhiuto, Quaranta e Invernizzi quali delegati), quelle depositate il 20 aprile 2016 da 103 senatori (Crimi, De Pretis e Centinaio quali delegati) e da 237 deputati (Rosato, Lupi e Dellai quali delegati), quella depositata il 3 maggio 2016 da 151 senatori (Zanda, Schifani e Zeller quali delegati).
Una volta spirati i tre mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, ciò che avverrà tra pochi giorni, a metà luglio, l’Ufficio centrale avrà 30 giorni di tempo per pronunciarsi su eventuali ulteriori richieste. In ipotesi, entro lo stesso termine, potrebbe contestare ai presentatori eventuali irregolarità, nel qual caso si aprirebbe una fase volta alla possibile sanatoria.
Come che sia, l’ordinanza dell’Ufficio centrale che decide sulla legittimità della richiesta di referendum viene adeguatamente pubblicizzata (mediante “comunicazione” ai Presidenti della Repubblica, delle Camere, del Consiglio e della Corte costituzionale nonché mediante “notificazione” ai proponenti) e, se ammette il referendum, essa determina una serie di adempimenti a carico di altri soggetti.
In particolare, è previsto che entro 60 giorni dalla comunicazione il referendum sia indetto con decreto del Presidente della Repubblica su deliberazione del Consiglio dei ministri. La data del referendum è fissata in una domenica compresa tra il 50esimo e il 70esimo giorno successivo all’emanazione del decreto di indizione. L’art. 15, legge n. 352/1970 prevede un solo caso di possibile rinvio, allorché sia nel frattempo intervenuta – ma non è il caso attuale – la pubblicazione del testo di un’altra legge costituzionale o di revisione costituzionale, onde consentire uno svolgimento contemporaneo con unica convocazione degli elettori per il medesimo giorno. Ebbe a osservare sul punto Leopoldo Elia, in occasione della prima effettuazione del referendum costituzionale (nel 2001) che, fuori di quel caso, sulla base delle norme previste è assolutamente esclusa ogni possibilità di intervento di altri organi statali tendente a bloccare o a ritardare l’evento referendario.
In pratica, con un minimo di approssimazione, la scansione risulta così articolata:
A metà luglio: decorso dei tre mesi dalla pubblicazione per la presentazione delle richieste;
Entro 30 giorni: decisione dell’Ufficio centrale e sua immediata comunicazione;
Entro 60 giorni: decreto del Presidente della Repubblica con cui viene indetto il referendum;
Tra il 50esimo e il 70esimo giorno successivo: data di svolgimento del referendum.
Con riguardo al momento preciso in cui si andrà a parare, è evidente che la data concreta di svolgimento dipenderà dai fattori rispetto ai quali sono presenti (limitati) margini di discrezionalità.
Possiamo provare a fare due esempi, rimanendo sugli estremi.
Se i soggetti coinvolti si attesteranno sui minimi (pochi giorni per la decisione dell’Ufficio centrale, pochi giorni per il decreto del Presidente della Repubblica di indizione, la domenica più vicina al 50esimo giorno successivo), si potrebbe addirittura votare nella seconda metà di settembre.
Se i soggetti coinvolti si attesteranno sui massimi (30 giorni per la decisione dell’Ufficio centrale, 60 giorni per il decreto del Presidente della Repubblica di indizione, la domenica più vicina al 70esimo giorno successivo), si potrebbe finire per votare attorno agli ultimi giorni del 2016.
Sempre che in tale sequenza non si inserisca un eventuale intervento della Corte costituzionale, in sede di controllo di legittimità o di conflitto tra poteri, con l’inevitabile dilatazione dei tempi.